Dai Carters ai Nine Inch Nails: due dischi difficili da ignorare, ma…

Beyoncé

Carters, la coppia formata dai cantanti Jay-Z e Beyoncé

A distanza di nemmeno una settimana uno dall’altro sono usciti negli Stati Uniti (e naturalmente in tutto il mondo) due album che è davvero difficile ignorare (a meno che non si viva in una città di provincia del centro-nord Italia senza sfogliare o cliccare riviste musicali e non si legga neppure Ravenna&Dintorni).
Il 16 giugno è stata la volta dei Carters, ossia nientemeno che il rapper Jay-Z (all’anagrafe appunto Sean Carter) e la moglie, nientemeno che Beyoncé. Everything is Love è stato pubblicato a sorpresa alla fine del loro concerto londinese terminato anche con la proiezione del videoclip del primo singolo (per realizzare il quale hanno affittato il Louvre, se non rendo l’idea guardate la foto qui a fianco) ed è la prima collaborazione tra le due star mondiali che finora si erano limitate l’una a dare all’altro del bugiardo e del fedifrago nel suo ultimo album, l’altro in tutta risposta a confessare i tradimenti e scusarsi sempre su un disco, l’anno dopo. La potenza della musica.
L’album dei Carters, per tornare a noi, è esattamente come te lo aspetteresti: suoni e produzioni che per usare un termine tecnico si potrebbero definire fighissimi, buone canzoni, ma in definitiva non proprio il capolavoro che qualcuno avrebbe pure potuto sperare. Hanno fatto il compitino, che nel loro caso (grazie anche ai milioni di dollari a disposizione) è comunque più che sufficiente.

A gridare al capolavoro sono già in diversi invece per il secondo disco di cui parlavamo all’inizio. Uscito il 22 giugno, Bad Witch è per Trent Reznor il nuovo (il nono) album “lungo” dei suoi Nine Inch Nails – cinque anni dopo il precedente – anche se in realtà sarebbe il terzo Ep di una trilogia partita nel 2016, allungato quel tanto che basta per farlo superare la mezz’ora di durata. La cosa positiva, lunghezza a parte, è che Reznor (qui ancora insieme al sodale Atticus Ross) è in ottima forma, tornato ai suoni aggressivi e industrial degli anni novanta, con squarci da colonna sonora in stile Twin Peaks (giusto per poter ricordare la leggendaria performance di Reznor nell’altrettanto leggendaria terza serie andata in onda l’anno scorso) con tanto di sax malato che rende per esempio un pezzo strumentale come “Play the Goddamned Part”, quello sì, un piccolo capolavoro (oltre che un omaggio allo stesso Lynch e probabilmente all’amico David Bowie, in particolare al suo ultimo album). Per il resto, servirebbe perlomeno un minutaggio più consistente per mettere questo disco alla pari di quelli davvero imperdibili del catalogo Nine Inch Nails. Che naturalmente è obbligatorio andare a recuperare, partendo da The Downward Spiral, incredibile a dirsi, oggi addirittura 24enne…

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