Dai Foo Fighters alla vera sorpresa, dal Congo

Mentre i Foo Fighters pare vengano davvero a suonare  a Cesena (ma nel momento in cui scrivo c’è ancora molta incertezza sulla data, pare il 3 novembre, e sul luogo, pare il Carisport, con gli organizzatori che ancora si divertono a pubblicare sul web dei rebus senza dare la risposta definitiva) sull’onda dell’entusiasmo per i mille che hanno suonato a Cesena per invitarli a suonare a Cesena nonostante sia già in programma un concerto a Bologna, e mentre in rete impazza nuovamente la battaglia tra fan e gente che si diverte a insultarli, decido di fare una cosa davvero rivoluzionaria: ascoltare il loro ultimo disco, uscito l’anno scorso. Potrei aver cambiato idea, mi dico, no?. No. Il disco è una gran palla, il loro è un rock da stadio patinato, banale con quegli assoli di chitarra da petto in fuori e quella batteria che esplode nei finali come nelle cover band alle sagre di paese. Non c’è poi niente di male, c’è di peggio, non ho nulla contro la gente che si diverte con così poco e i Foo Fighters in fondo sono pure simpatici, fanno il loro mestiere senza correre rischi e guadagnano un sacco di soldi. Semplicemente rappresentano il nulla, e non ci vedo niente di male neanche in questo, per chi invece cerca nella musica qualcosa di più, magari anche un pizzico di sorpresa. Come quella, autentica, che si prova ascoltando uno dei dischi più osannati dell’anno in giro per il mondo, non ancora a sufficienza, però, in Italia. Si tratta dei Mbongwana Star, che oltre al nome impronunciabile possono vantare una storia che vale da sola l’acquisto. Sono infatti un collettivo del Congo guidato da due signori in sedia a rotelle, musicisti di strada che con il loro precedente progetto si esercitavano all’interno di uno zoo, suonando con strumenti costruiti con materiali trovati tra i rifiuti. Qui ripartono insieme ad altri, più giovani, musicisti africani raccattati, pare, praticamente per strada e con la soprendente collaborazione dal produttore hip-hop irlandese Doctor L. Bella storia, ma anche chissenefrega, a un certo punto. Quello che conta è che il loro disco d’esordio, From Kinshasa, è una bomba. Sulla pagina Facebook si definiscono “space ipno afro punk rock electro”, così, forse come fanno le band per prendere un po’ per il culo i giornalisti musicali. Però “space-ipno-afro-punk-rock-electro”, sul serio, rende l’idea del loro suono, una miscela trascinante non certo destinata solo a cultori di musica world, ma che farà breccia soprattutto tra gli appassionati rock e cosiddetti alternativi.

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