Nel 2014 ancora con i Rolling Stones?

Ok, abbiamo capito, siete andati tutti a vedere i Rolling Stones a Roma ed è stato l’evento dell’anno, anzi no, del decennio, anzi no, della vostra vita. D’accordo, non metto in dubbio che sia stato emozionante vedere i Rolling Stones, ma non riuscirete mai a convincermi che davvero fosse questa cosa imprescindibile andare ad ascoltare nel 2014 un gruppo di settantenni il cui ultimo vero capolavoro è di quarant’anni fa. Anzi, 42, per l’esattezza, perché era il 1972 quando uscì Exile on Main Street. Capolavoro assoluto a cui si devono affiancare almeno Sticky Fingers (1971), Beggars’s Banquet (1968) e Aftermath (1966), che bastano a renderli una band unica nella storia del rock, ovviamente. Ma ora magari, nel 2014, se ne potrebbe approfittare per capire se qualcuno è stato in grado di portare avanti la bandiera dei Rolling Stones aggiornando e personalizzando la loro formula di rock viscerale condito da ritmi tribali, blues e qualche accenno jazz, senza risultarne una sorta di copia (stile Black Crowes o Aerosmith, tanto per intenderci, con tutto il rispetto per i Black Crowes, non per gli Aerosmith). I migliori di tutti ad averlo fatto restano probabilmente i Wilco, che partono da influenze Rolling Stones (anche se forse non sono le principali) nel primo disco, per poi tornarci sporadicamente negli ultimi album, dopo aver tracciato un solco a loro volta nella storia dell’Americana con i dischi più coraggiosi di metà carriera. I più passatisti (nello spirito, più che nella musica, influenzata anche dall’elettronica) sono invece forse i Primal Scream, che rielaborano gli Stones più rock, mentre il versante psichedelico-tribale è quello più caro ai Brian Jonestown Massacre, da riscoprire almeno il Methodrone dell’ormai lontano 1995, ma che restano su buoni livelli anche con l’ultimo Revelation. Ma la band forse che merita più di qualsiasi altra di essere citata in un articolo sugli Stones è quella che ancora nessuno purtroppo ha rivalutato come meriterebbe. Si tratta dei Royal Trux e se magari  il controverso Scaruffi nella sua enciclopedia online esagera (ok, Scaruffi non lo cito più in vita mia, promesso) quando dice che «si sono affermati durante gli anni ’90 come uno dei massimi complessi di musica rock di tutti i tempi» e quando definisce Twin infinitives «uno di quei dischi che richiederà decenni per essere completamente assimilato», resta il fatto che il duo americano composto da Jennifer Herrema (organo) e Neil Hagerty (ex chitarra dei Pussy Galore, altra band da riscoprire) dallo spirito degli Stones hanno tirato fuori la parte più sovversiva, realizzando dischi più classici e sperimentali, passando dal noise al blues ridotto all’osso. Forse per i neofiti meglio partire da Veterans Of Disorder, con canzoni maggiormente convenzionali. Ma prima o poi un giro su Twin infinitives fatelo anche voi, poi ci risentiamo tra qualche decennio…

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