giovedì
26 Giugno 2025

Quel disco capolavoro che ha compiuto dieci anni

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Portishead 3Il 2018 pare proprio non sarà un anno da ricordare per quanto riguarda la produzione discografica ma come prevedibile lo è stato invece per quanto riguarda gli anniversari. D’altronde siamo a cinquant’anni dal 1968, uno degli anni da ricordare (pure) per il rock. Ma anche dieci anni è un lasso di tempo sufficiente per fare bilanci, non sono poi tanti i dischi che un decennio dopo ancora lasciano loro tracce nel mondo musicale.

Uno di questi è senza dubbio Third, capolavoro dei Portishead pubblicato nell’aprile del 2008, per chi scrive (ma non solo) tra i migliori album usciti in ambito rock (in senso lato) dall’inizio del nuovo secolo. Ha già compiuto dieci anni ed eppure riascoltato oggi non è invecchiato di un giorno: sarà per le atmosfere cupe e claustrofobiche che ben si adattano alla più stretta attualità, sarà per un non-genere ancora difficilmente catalogabile. Gli addetti ai lavori, vista cotanta ragione sociale, si limitano a parlare ancora di trip hop, che è più facile, sapendo benissimo che il trip hop in realtà è come evaporato (se stiamo alla definizione che si può leggere sui dizionari di musica: “Genere musicale nato negli anni Novanta dalla fusione dell’hip-hop, del jazz e dell’house music con le vocalità tipiche del reggae, ma su una base ritmica più lenta, in modo da creare atmosfere sognanti, rilassate e ipnotiche”).

Restano le atmosfere ipnotiche, direi. Ma qui ci sono soprattutto l’industrial, il kraut-rock, la dark, la wave. Per un senso di inquietudine diffuso, un’atmosfera che non potrebbe mai essere confusa con quella dei Portishead del debutto Dummy e del loro secondo album omonimo. Third arrivò 11 anni dopo quest’ultimo e riuscì nell’impresa di essere al cento per cento Portishead ma in modo diverso, in un modo più adulto e sperimentale, senza che questo risultasse mai fine a se stesso. A rendere l’ascolto non così facile è infatti più che altro la cupezza, non scelte musicali particolarmente complicate.

A suggellare il tutto c’è naturalmente la voce di Beth Gibbons, una delle poche vere e proprie dive/icone della musica rock degli ultimi vent’anni, diventata diva e icona solo con la sua interpretazione nei dischi e sul palco, non così scontato nell’epoca dell’apparire e dei social.

Dieci anni dopo, la speranza è che siano maturi i tempi per il quarto album, su cui pare che i Portishead siano al lavoro da tempo. Per fare meglio del precedente, in effetti, di anni di lavoro ce ne vorranno parecchi…

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