Il mockumentary ambientalista di Barry Levinson

The Bay (di Barry Levinson, 2012)

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Prima di parlare del film, chiariamo alcuni concetti e nomi. Mockumentary è un genere che indica un falso documentario su eventi immaginari, e se è un horror è composto da video amatoriali ritrovati a evento compiuto. Per citare alcuni dei più noti, ricordiamo The Blair Witch Project, Forgotten Silver e la serie Modern Family.
Barry Levinson, il regista di The Bay, è un’icona del cinema americano, con un curriculum composto da Good Morning Vietnam, Rain Man, Piramide di paura (piccolo cult per noi adolescenti negli anni ‘80) e tanti altri ottimi titoli. L’idea di un film del genere (sia il mockumentary che l’horror), che si discosta decisamente dalla sua filmografia e che di solito è materia di registi più giovani e meno affermati, nasce da un evento reale, poiché il regista si ispira a un disastro ecologico avvenuto nella baia di Chesapeake nel Maryland (luogo natio e inevitabilmente caro al regista).

La trama del film vede la mutazione di un batterio realmente esistente (il cosiddetto Pidocchio di mare) a causa del versamento in mare di ingenti quantità di cibo transgenico per gli allevamenti di polli, che ne provoca una abnorme crescita nelle dimensioni, e nella voracità, seminando panico e morte negli abitanti della baia. Il film si apre con la testimonianza (a evento finito) di una giovane studentessa di giornalismo sopravvissuta alla tragedia, che nel sottolineare come il tutto sia stato messo a tacere da autorità locali e nazionali, mette insieme i pezzi e racconta i fatti avvenuti il 4 e il 5 luglio 2009, durante i festeggiamenti per il giorno dell’Indipendenza nella (finta) cittadina di Claridge, situata nel Maryland. Il racconto è interessante per i molteplici canali che la narrazione offre allo spettatore: è chiaro fin da subito che la non velata metafora ambientalista la faccia da padrona e l’ignoranza e la non curanza da parte dell’uomo siano additate come le cause del disastro.

Ma Levinson non si ferma qui, e vuole arrivare anche ai piani alti di una politica impegnatissima nell’ignorare il grido di aiuto di una piccola comunità per circoscrivere un fenomeno e non gettare fango su certe scelte scellerate; critica diretta che non risparmia neanche una piccola comunità troppo impegnata in festeggiamenti per capire che qualcosa sta andando storto, troppo impegnata a seguire la propria routine per capire cosa stesse succedendo negli ultimi anni all’ambiente in cui vivono. Anche questa volta, però, si parla di horror e non mancano immagini forti e situazioni di tensione, perché il taglio documentaristico impone un realismo artefatto ma efficace. In definitiva una bellissima riscoperta, un prodotto di genere non più originale, ma efficacissimo nel suo messaggio ambientalista e nel suo essere verosimilmente falso.

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