A distanza di 35 anni, due entusiasmanti e fantascientifiche opere prime

Moon, di Duncan Jones (2009)
Curioso il destino: il figlio della più “fantascientifica” rockstar di tutti i tempi, David Bowie, realizza come opera prima un film di fantascienza, per giunta bellissimo. Sulla Luna si estrae materiale per creare energia pulita, e a sorvegliarne i macchinari ci sono solo un uomo, Sam, e un computer intelligentissimo, Gerty. Sam è ormai giunto al termine dei suoi tre anni di contratto ed è pronto a tornare sulla terra da moglie e figlioletta, ma un banale e inaspettato incidente innescherà un assurdo meccanismo di inganni.  Costato soltanto 5 milioni di dollari (per Avatar ce ne sono voluti 237), l’opera prima di questo talentuoso figlio d’arte ha due modelli altissimi: 2001 Odissea nello Spazio e Solaris. Dal film di Kubrick, Jones prende le ambientazioni e soprattutto il computer intelligente, mentre a Tarkovsky si deve la struttura generale della trama. Ciò che è veramente incredibile, è l’estrema naturalezza della messa in scena, quando in gioco ci sono delle carte di grandissimo valore: Jones (ri)crea un universo perfetto di solitudine e filosofia, pone molte domande e comunica in modo chiaro la sua visione del mondo attraverso un protagonista straordinario, Sam Rockwell, a cui andrebbero due Oscar in uno, tanto è enorme nel recitare. Non c’è azione, non ci sono guerre stellari, non ci sono nemici provenienti dallo spazio: in Moon è l’uomo che gioca con la propria condizione e mette giù (forse) le basi per il suo futuro. Anche se accelera leggermente il finale, Jones riesce a comprimere tutto questo universo in poco più di un’ora e mezza, senza far mancare nulla. Presentato al Sundance con grande successo, replicato con altrettanti consensi a Berlino, Moon ha avuto più apprezzamenti che spettatori, alla sua uscita in sala in Italia. Nessun problema, tanto diventerà un classico. Moon gira ancora per rassegne o, mal che vada, è disponibile in Dvd.

Dark Star, di John Carpenter (1974)
Nel 1974 un giovane regista debuttò con una sorta di omaggio parodistico e (ulteriormente) surreale al 2001 kubrickiano. Il giovanotto in questione si chiamava John Carpenter e negli anni sarebbe diventato uno dei registi di culto di almeno un paio di generazioni di cinefili. Dark Star è il nome dell’astronave addetta a distruggere con bombe intelligenti corpi estranei; il problema è che il bizzarro equipaggio si annoia e passa il tempo ad accudire un buffissimo alieno a forma di pallone da spiaggia e coi piedi di papera. Scritta in collaborazione col compianto amico Dan O’Bannon (che è anche attore protagonista), e girato con un budget ridottissimo, l’opera prima di Carpenter è, pur mostrando i segni dell’età, un film bizzarro e intelligente che specchia fedelmente la gioventù americana alle prese con una sorta di “missione” che non capiscono, né condividono. Una riflessione amara su una società i cui sogni kennediani si erano infranti a colpi di pistola, che il giovane regista riesce a raccontare sconfinando spesso i limiti dell’assurdo. Una rappresentazione del nulla, un omaggio a Kubrick che si è trasformato in un modello cinematografico: indovinate chi è l’autore del soggetto del grandissimo Alien, l’intruso più noto e pericoloso della storia della science fiction? Sì, proprio lui, Dan O’Bannon. Non immediato da reperire, ma si trova, è anche uscito in Dvd. Da riscoprire.

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