Altro che film minore, i fratelli Coen fanno ancora centro

A proposito di Davis (Joel, Ethan Coen, 2013)
Greenwich Village, New York, 1961, qualche mese prima che il folk spiccasse il suo volo verso la popolarità e lo splendore assoluto per mano del grande Bob Dylan. Il film segue le peripezie e la storia di Llewyn Davis, aspirante folksinger e si apre mostrando la conclusione di un suo concerto in un piccolo club, per ricevere prima gli applausi del suo pubblico, poi un paio di pugni da un misterioso personaggio. Llewyn non ha dimora fissa, dorme dall’amica già fidanzata che riesce a mettere incinta, da una coppia di veri signori ai quali prima smarrisce il gatto, poi sbatte la porta in faccia con improvviso sgarbo. Ma Davis è un uomo in realtà di animo nobile, malinconico, e solo, visto che il suo partner artistico si è tolto la vita da poco; Davis è una persona che risulta incapace di dare una qualsiasi accelerata, come nelle sue canzoni, così nella sua esistenza. Ispirato alla vita del cantante folk Dave Van Ronk, il racconto è un divertito, divertente, amaro, triste e malinconico ritratto di quella che può essere considerata come un’intera generazione di poeti che poco si adattavano all’America degli anni cinquanta, e che molto di più avrebbero meritato per capacità creative. I Coen realizzano un film intimo e meraviglioso, capace di suscitare ogni reazione positiva possibile, e fanno centro sia nel raccontare la vicenda umana, sia l’inizio di una grande epopea musicale. Condito da canzoni per lo più tradizionali e da un bellissimo cast (bravi tutti), il film ha i meriti di “distrarre” dal tema principale con due personaggi straordinari: un gatto e il folksinger eroinomane interpretato da chi di Coen se ne intende, il magnifico John Goodman. Un film da molti considerato minore, ma che a conti fatti risulta uno dei migliori dei fratelli degli ultimi dieci anni. Da non perdere.

The Perfect Host (Nick Tomnay, 2010)
John è un criminale romantico, ha rapinato una banca e ora cerca rifugio. Lo trova, crede, in una ricca villa, riuscendoci a entrare grazie a un semplice stratagemma; qui entra in gioco il padrone di casa, un uomo elegante e raffinato che sta preparando una cena per i suoi amici. Sconosciuto e intrigante thriller americano indipendente, presentato al Sundance, che sulle prime potrebbe ricordare Funny Games, ma che grazie a una serie di gradite sorprese in una sceneggiatura originale e incalzante (dello stesso regista), vive di vita propria. Sorprese che verso la fine tendono a essere un po’ troppo frequenti, ma il gioco cinematografico è riuscito, anche grazie a David Hyde Pierce, attore da noi sconosciuto, che offre una prova straordinaria come “perfetto padrone di casa” e tiene in piedi un film che pur con qualche difetto (inevitabile, la storia gioca col fuoco) risulta coerente e avvincente. Citazioni a Kubrick e al già tirato in ballo Haneke, ma il film vive di luce propria. Ovviamente da noi non è mai uscito, recuperatelo grazie ai sottotitoli italiani disponibili in rete.

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