Amanda Knox, documentario controverso e bellissimo

Amanda Knox (di Rod Blackhurst e Brian McGinn, 2016)
Il documentario racconta il caso mediatico e giudiziario che dal 2007 al 2013 ruotò attorno all’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, avvenuto a Perugia, e vide protagonisti la coinquilina americana Amanda Knox e il suo allora fresco fidanzato italiano Raffaele Sollecito. Una storia che almeno superficialmente conosciamo tutti per l’enorme eco internazionale, che si è conclusa con l’assoluzione della coppia per assenza di prove, movente, arma del delitto e la condanna dello sconosciuto Rudy Guede. Il lavoro dei due documentaristi, come suggerisce il titolo, si sofferma sull’indiscussa protagonista della vicenda, parte e conclude (e inframezza) con le sue parole. Una protagonista ovviamente molto più adulta che dimostra una grande confidenza con la macchina da presa e che lascia dichiarazioni che riflettono certamente una personalità forte. All’inizio la Knox dichiara «c’è chi dice che sono innocente e chi dice che sono colpevole. Se sono colpevole, sono la persona di cui ti devi spaventare, perché sono la meno ovvia. Sono una psicopatica travestita da agnellino. Ma se sono innocente, allora sono te»; alla fine conclude il documentario con «alla gente piacciono i mostri, li vuole vedere, proietta le proprie paure, vuole rassicurazioni che i cattivi non siano loro; tutti abbiamo paura e la paura ci rende folli». I registi hanno seguito tutta la vicenda fin dall’inizio e mostrano in apertura, in maniera diretta e forte, le riprese della scena del crimine, senza lesinare sul sangue presente. Il film presenta poi altri due protagonisti, il pubblico ministero titolare dell’inchiesta Gianluca Mignini e il reporter del Daily Mail Nick Pisa. Il documentario non cerca di risolvere il caso, ma, anche grazie al contributo di questi ultimi due personaggi, vuole cogliere l’accanimento mediatico nei confronti della protagonista al di fuori della mera vicenda criminale. Mignini che si definisce cattolico definisce la Knox “anarcoide”, aggiungendo che «forse a Seattle funziona così» e dà giudizi morali sulle persone che destano molte perplessità. Ancora più inquietante Pisa, che «scagiona» Amanda in quanto data in pasto a una stampa insaziabile, ma che afferma che «per un giornalista il proprio nome in prima pagina su uno scoop mondiale è come fare sesso» e ci mostra orgoglioso il diario della protagonista senza rivelare come ne sia entrato in possesso. Il film parteggia moralmente per Amanda Knox senza la pretesa di assolverla sul piano giudiziario, che si limita a raccontare sentendo il parere di esperti che spiegano il perché dell’inconsistenza delle prove. Si punta il dito ancora una volta contro il maschilismo e la misoginia di stampa, opinione pubblica e giustizia italiana, che ne esce con le ossa rotte, in questo caso giustamente, anche per il protrarsi del processo, come sottolinea la madre della Kercher. Controverso e un po’ partigiano, ma difficilmente attaccabile, Amanda Knox è un bellissimo documentario che segue con coerenza una linea e certamente riesce a dimostrare la propria tesi, che come già detto non è l’innocenza dei protagonisti, ma è una terribile finestra su chi quella vicenda l’ha gestita e soprattutto su chi l’ha diffusa. E le didascalie finali che specificano che, tra le altre cose, ora Sollecito è opinionista televisivo, non fa che aumentare dubbi e disgusto. Da vedere assolutamente, il film è sul circuito Netflix e se non siete abbonati e non volete farlo, al limite andate da un amico.

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