Arrival, mix di propaganda e stucchevole buonismo

Arrival (di Dennis Villeneuve, 2016)
C’era grande attesa per Arrival, per tanti motivi. Innanzitutto la fantascienza qui è assai gradita in tutte le sue forme, anche se qualche melassa buonista come Contact o Interstellar vengono prontamente rispedite al mittente; inoltre il film al Festival di Venezia ha avuto una buona accoglienza e tutti sono rimasti affascinati; ultimo e più importante, Dennis Villeneuve è uno dei registi più bravi del nuovo secolo, con all’attivo alcuni film davvero imperdibili come La donna che canta o Enemy (per tutto il resto c’è google). Il film: Louise è una linguista di fama internazionale che ha appena subito la morte molto prematura della figlia, e che dall’Università in cui insegna viene urgentemente portata in uno dei dodici siti (in Montana, Usa) in cui sono atterrate navi aliene a forma di uovo. Il governo degli Stati Uniti cerca, attraverso di lei, di instaurare un dialogo con gli “altri” che va costruito da zero, visto che queste creature hanno sì un linguaggio e una cultura, ma totalmente differenti e incompatibili con quelle della Terra. Inizio interessante con una brava Amy Adams nel ruolo della protagonista e un’affascinante astronave ovale che ricorda molto il monolito di Kubrick, anche se il parente più prossimo appare lo Spielberg di Incontri ravvicinati del terzo tipo. La struttura del film, sebbene complessa, funziona coerentemente per tutta la prima parte, anche se non si capisce come possa esistere qualcuna in grado di conoscere e parlare tutte le lingue del mondo, caratteristica indispensabile per dialogare con gli altri siti in cui sono atterrati gli alieni, come ad esempio Russia, Cina e Sudan. Nella seconda parte, se da un lato la vicenda e l’intreccio reggono bene, si assiste a una serie di luoghi comuni che neanche nell’America reaganiana erano così grossolani ed evidenti: russi e cinesi sono ovviamente così idioti da attaccare queste creature pacifiche, scoppiano amori, e i protagonisti diventano eroi nonostante ci sia il cattivello anche in casa Usa. Gli altri elementi disarmanti non si possono rivelare, perché rovinerebbero la visione di una storia che, come detto prima, pur complessa, lenta e a volte faticosa da seguire, ha una sua completezza e un suo compimento. Ma dove va a parare il film? La fantascienza, come in Interstellar, diventa mezzo per raccontare le persone e le loro scelte, perché queste creature venute dallo spazio cambieranno di fatto la vita della protagonista, con un espediente narrativo, se vogliamo, ingegnoso. Tirando le somme, il film è candidato a ben 8 Oscar (tra cui Film, Regia e Sceneggiatura), si può guardare ma davvero la sensazione è quella di essere tornati indietro di oltre trent’anni assistendo a un mix di propaganda e stucchevole buonismo, impossibili da digerire. Senza dimenticare i dialoghi: se tra mondi differenti il tutto funziona piuttosto bene, tra persone che parlano la stessa lingua si sentono frasi alquanto banali, per usare un eufemismo. I migliori film di fantascienza degli ultimi anni sono altrove, come ad esempio Il sopravvissuto o Melancholia, tanto per citarne due… ma Villeneuve, nonostante tutto, deve tornarci sul genere, visto che sarà lui a riportare alla luce, con un sequel, nientepopodimeno che Blade Runner. Il film è in sala.

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