Attack the Block, fra baby gang e alieni un film divertente e fuori dagli schemi

Attack the Block, di Joe Cornish (2011)
Oltre che per nevi e terremoti, la stagione 2011/2012 verrà ricordata per le invasioni aliene, di tutti i tipi, per tutti i gusti, ma fortunatamente (per ora) solo al cinema. Se il pessimo Super 8 apriva la stagione cinematografica con tanto di ragazzini prodigiosi a vivere incontri ravvicinati del terzo tipo, ci pensa questo ottimo esordio a chiuderla, in modo decisamente più scorretto ed esilarante. Una giovane donna rincasando nel proprio appartamento in un poco raccomandabile grattacielo (il “block”), viene attaccata e rapinata da una gang di ragazzini (15-16 anni); l’“inconveniente” è però dato dal fatto che dal cielo arriva una creatura, che sembra un orsetto, che viene uccisa dal capobanda. I suoi simili, però, che sono molto più grossi, la vogliono vendicare, attaccando il “block” abitato dai giovani delinquentelli, dalla ragazza e da altri individui ben poco raccomandabili. Quindi la partita che si gioca è baby gang contro alieni, ne viene fuori un match divertentissimo e piuttosto violento, dall’inizio alla fine. I protagonisti, presentati subito come cattivi, catturano immediatamente le simpatie dello spettatore (un po’ meno quelle della protagonista rapinata), grazie al loro linguaggio rappeggiante, le loro idee folli e il loro agire completamente fuori dagli schemi. A loro si aggiungerà qualche personaggio di contorno (due bambini su tutti) che renderanno ancor più esilarante il tutto. Quindi, Attack the Block piacerà a tutti? No, calma, ecco i requisiti: passione per il genere horror, simpatia per gli alieni cattivi, propensione al divertimento per scene assurde e violente. Specificato che possedere i requisiti non significhi certo essere maniaci, stiamo parlando di una delle notti metropolitane londinesi più divertenti e sgangherate degli ultimi tempi. Colonna sonora molto giovanile, tra rap ed elettronica, ben contestualizzata e molto divertente.

It’s all gone Pete Tong, di Michael Dowse (2004)
Voltiamo decisamente pagina, come dicono nei tg quando passano da una guerra a un matrimonio di famiglie reali, e parliamo di un film che, vista l’età, difficilmente vedrà la luce da noi, ed è un vero peccato, perché potrete guardarlo solo scaricando i sottotitoli gratuiti dalla rete. La docu-fiction in questione parla del dj Frankie Wilde, idolo in pianta stabile di Ibiza, che, dopo anni di successo, di cuffie e di musica sparata nelle orecchie a tutto volume, anche a causa della dipendenza da alcol e droghe, perde pian piano l’udito. Ma saprà tornare, con una grossa sorpresa. Costruito a metà tra documentario (con interviste a dj famosi) e fiction, il film è un’appassionante biografia sul classico percorso “inferno e ritorno”, solitamente riservato alle rockstar, anche se in questo caso si parla di dj. La colonna sonora è adeguata al genere e al personaggio, e per quanto non riscontri i gusti di chi scrive, sottolinea e scandisce in maniera perfetta la narrazione. Film divertente anche se tratta materie serie, brioso e con ritmo (dura la classica e apprezzata ora e mezza), che porta alla ribalta la straordinaria bravura dell’attore protagonista, poco noto da noi, Paul Kaye, e della protagonista (ancor meno conosciuta) Beatriz Batarda. Ma a questo punto vi chiederete (si spera) cosa centri il Pete Tong del titolo: Tong è un dj e giornalista, sul cui nome un collega coniò un gioco di parole che assonava con “wrong”, un po’ quindi come dire «è andato tutto male». Lo stesso Tong appare brevemente in un’intervista. Ps: Frankie Wilde non è mai esistito.

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