Boyhood, l’esperimento riuscito di un’emozionante saga familiare

Boyhood (di Richard Linklater, 2014)
La storia della giovinezza di Mason, dagli 8 ai 20 anni, e della sua famiglia, composta da una sorella appena maggiore e da due genitori divorziati e volenterosi nel cercare di educare e crescere i loro figli: il padre presente a tratti ma affettuoso e molto legato ai figli; la madre straordinaria nel riuscire a crescere quasi da sola la famiglia, a laurearsi, a insegnare e guadagnare bene, ma meno fortunata nei legami successivi, incappando in compagni fortemente dipendenti da alcol. Letta così, sembra (ed è) una storia familiare come tante altre, ma la tecnica usata dal regista ci pone di fronte a qualcosa di unico. Il film è stato realizzato in tempo reale, dal 2002 al 2013, girando poche scene in 12 anni di riprese, con lo stesso cast e seguendo attentamente la crescita e i cambiamenti del suo protagonista, senza perdere d’occhio la progressiva maturazione fisica di tutti gli altri membri della famiglia. L’idea in Linklater non è nuova, basti pensare a un’altra sua nota creatura, la trilogia Prima dell’alba Prima del tramonto Prima di mezzanotte, film in cui i due protagonisti si ritrovano ogni dieci anni, ma la diversa età ci suggerisce subito che Boyhood lavora su un periodo della vita precedente e inevitabilmente ricco di altre caratteristiche e problematiche. Lo scorrere in diretta del tempo dà certamente un impatto emotivo e iperrealistico a una storia già interessante, creando un doppio coinvolgimento emotivo tra lo spettatore e i protagonisti. Le due ore e tre quarti di durata, in questo senso, sono inevitabili e mai noiose, accompagnate da una graziosa colonna sonora, tantissimi dialoghi, molti pensieri (marchi di fabbrica del regista) e un delizioso cast che combina il mestiere del fedelissimo Ethan Hawke e di Patricia Arquette nei panni dei genitori (e che angoscia vederli invecchiare!), con la crescita dei due fratellini Ellar Coltrane e Lorelei Linklater, figlia di cotanto padre. Che cos’è Boyhood? Da una parte un esperimento riuscito, una missione compiuta certamente non facile tenendo conto di tutte le difficoltà che si possono incontrare (si dice che la figlia del regista volesse abbandonare il treno in corsa); dall’altra un bellissimo telefilm, nel senso migliore del termine, un’emozionante saga familiare vissuta in diretta, in un sol istante e attraverso un periodo di cambiamenti. Lo sguardo del regista non è allegro, pur mantenendo sempre i canoni della commedia e divertendo in più di un momento, i suoi personaggi non sono né vincenti né eroi, e il suo paese non gode di buona salute; ma il film non è una critica e neanche un termometro di umori, è la storia del periodo più complesso che vive un essere umano, del periodo più affascinante e spesso più misterioso. Linklater ritrae perfettamente la famiglia che non c’è, caratterizza magnificamente le due diverse generazioni e fa sentire aria di casa a chiunque si avvicini allo schermo. Non è un capolavoro, Boyhood, non siamo dalle parti dei grandi progetti di Kubrick (ricordate A.I.?), ma siamo davanti a un magnifico compendio di 12 anni di sogni, emozioni, visioni. Da non perdere.

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