C’era una volta la (vera) Palma d’oro…

La vita di Adele (Abdel Kechiche, 2013)
C’era una volta la Palma d’Oro, il massimo premio assegnato dalla massima manifestazione di cinema, il Festival di Cannes. C’era una volta, vent’anni fa o giù di lì, Pulp Fiction, Underground, Segreti e bugie, Cuore selvaggio, Sesso bugie e videotape, fino a Dancer In The Dark. C’era una volta quella critica, e c’è da qualche anno una Palma che lascia sempre l’amaro in bocca. Soprattutto quando nel 2009, nonostante i nostri Gomorra e Il divo, fu assegnato a un film normale e francesissimo come La classe. E anche questo film parla esclusivamente francese, nonostante le origini tunisine del regista, ormai naturalizzato da anni. Kechiche racconta una storia d’amore come tante, in questo caso omosessuale, creando in tre lunghe ore due tempi completamente differenti. L’incontro tra le due ragazze, l’ambiente scolastico e familiare che domina la prima parte, che termina con una lunghissima scena di sesso che fa da preludio alla seconda, che si concentra esclusivamente sulle due bravissime protagoniste, sul loro amore, sul loro distacco, sulla solitudine, sui loro pensieri. Il racconto ha una regia molto forte e precisa, totalmente incentrata su primi piani e su una sorta di pedinamento delle gesta della protagonista, sulla forte morbosità del rapporto e delle scene di sesso, lunghe esplicite e quasi fastidiose non certo per la sessualità delle protagoniste, ma per il continuo insistere compiaciuto su questo desiderio tra corpi, cercando inutilmente di dare l’impressione di trasporto totale, per cui basterebbe uno sguardo. Il film non focalizza sul contesto della storia omosessuale, rendendola sì uguale a un rapporto etero, ma raccontando senza alcun guizzo sensazioni che la storia del cinema, da Bertolucci, passando per Antonioni, fino ad arrivare a Wong Kar-Wai, ha già espresso con ben altra classe. Un film che finisce per essere lungo, noioso e soprattutto banale, dove la passione per la storia svanisce presto, e la passione per la passione non prende mai piede. Caratteristica del regista, questa però simpatica, è il suo amore smisurato e anche qui morboso per il cibo, che è sempre protagonista delle sue pellicole (ricordiamo l’altro film noto, Cous Cous). A fine film si esce affaticati, delusi, annoiati e per nulla soddisfatti, se pensiamo che La vita di Adele si è meritato (?) addirittura quello che un tempo era il massimo riconoscimento mondiale. Postilla finale: pur non essendo un film sul tema, se volete guardare una bella, delicata e originale storia d’amore tra due giovani donne, virate su Fucking Amal, bellissimo film svedese del 1998…
happythankyoumoreplease (Josh Radnor, 2010)
Se vogliamo (ri)trovare freschezza, dobbiamo purtroppo pescare dal cinema inedito e invisibile. Non è un racconto d’amore, questo film dal titolo bizzarro, ma storie di giovani, anche qui seguiti rigorosamente dalla macchina da presa in un primo piano però tutt’altro che fastidioso. Opera prima dell’attore protagonista di How I Met Your Mother, scritta nella pausa tra la prima e la seconda stagione: l’aspirante scrittore Sam Wexler, incontra un bimbo lasciato apparentemente solo in metropolitana, che decide di tenere con sè. Sam non è l’unico personaggio principale del film: incontriamo la cugina Mary Catherine, l’affascinante Mississipi, e il complesso e delicato personaggio di Annie. Condito da una colonna sonora straordinaria (Shout Out Louds, Jaymay, Bear Lake e altri), senza bisogno di durare tre ore, senza vincere alcuna palma, happythankyoumoreplease lascia contenti, soddisfatti e convinti che il giovane Radnor abbia molte più idee del premiatissimo Kechiche. Sottotitoli in rete.

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