Dal Grande Fratello di Reality all’X Factor di God Bless America

Reality, di Matteo Garrone (2012)
Napoli, oggi. Luciano è un pescivendolo che per arrotondare truffa degli innocenti pensionati, ed essendo per tutti un grande intrattenitore, partecipa, spinto dalla famiglia, a una preselezione per il Grande Fratello. Una volta superata, Luciano si costruisce un mondo inesistente nel quale lo show lo sta tenendo d’occhio, per una possibile partecipazione finale. Come prima cosa, Garrone (che torna a girare a Napoli dopo Gomorra) “restituisce” il Grande Fratello a Orwell, grazie all’ossessione del protagonista di essere osservato. Fatto questo favore a tutti noi, il regista confeziona una parabola in forma di favola nera, potente e piuttosto forte e pesante nei contenuti. Il reality (Grande Fratello proprio per motivi orwelliani, altrimenti poteva andare bene anche un altro) resta sullo sfondo, svolge con correttezza il suo compito, è estremamente professionale ed “educato” nei confronti dei suoi aspiranti; questo perchè il film vuole fortemente concentrarsi sulla figura del protagonista, reso da un magnifico Aniello Arena, straordinario personaggio pescato da Garrone addirittura dal carcere, dove sta scontando un ergastolo e con il quale recita tramite la compagnia della Fortezza. Il reality non è l’unico sfondo: sin dalla prima scena emerge una Napoli macchiettistica, roboante ed eccessiva, atta a presentare il contesto in cui è cresciuto Luciano. Si parte con molte risate, per poi pian piano sprofondare in uno show senza comparse dove spettatore e protagonista paiono le uniche figure di una messa in scena a mo’ di Truman Show. I modelli sono tanti, dal Bellissima di Visconti a quella visione onirica del luogo che il grande Fellini sapeva dare. Il suo personaggio vaga infatti da un mondo reale sopra le righe, a un mondo virtuale reso in maniera contestualmente sobria, anche se non ci si dimentica che i suoi attori principali contribuiscono in maniera determinante alla distruzione di una società già traballante. In uno scenario così pessimista e pesante, in cui le speranze, vane, sono affidate alla fede, o alla speranza in essa, l’unica luce che si accende è quel romantico, meraviglioso “Caffè 0,65 euro” che ci strizza, timidamente, l’occhiolino.

God Bless America, di Bobcat Goldthwait (2011)
Frank ha una visione diversa dal mondo descritto in televisione, fatto di predicatori inutili e dannosi e di reality che mostrano persone orribili o, peggio, ragazzi con problemi derisi dagli stessi conduttori durante performance canore e portati come finti idoli. Siamo quindi passati dal Grande Fratello a X Factor (quello americano), e l’effetto cambia, sui protagonisti. Frank non ha più nulla da chiedere alla vita e decide di trasformarsi in giustiziere, eliminando fisicamente chi per lui è una persona effettivamente dannosa. Commedia nera, con lo humour portato a livelli oltre il grottesco, per focalizzare sia i pensieri del suo protagonista, sia come quadro fumettistico e sarcastico dell’America di oggi. Inizio entusiasmante e prime scene di violenza (non eccessiva, eh) sorprendenti, dopo di che un pelo di ripetitività subentra. Ma la scena finale restituisce un film simpaticamente fuori di testa, palesemente provocatorio e forse anche eccessivamente caricaturale, che si avvale di una bella coppia di protagonisti, un grande Joel Murray (fratello di Bill) e l’esordiente Tara Lynne Barr. Resta un certo senso di liberazione per noi spettatori, che del protagonista condividiamo le idee ma non le azioni. A meno di non vederle al cinema… sperando in un uscita futura (per ora, i soliti sottotitoli italiani).

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