Disconnect: non sarà il film dell’anno, ma è da vedere

Disconnect (Henry Alex Rubin, 2012)
Disconnect si propone come rivisitazione del modello altmaniano dell’intreccio tra tante storie che nel corso del racconto si incontrano, sfiorano, o addirittura scontrano. Modello ben confezionato con quel Crash, che nel 2004 ha pure vinto l’Oscar. Questo film è molto simile, ma aggiornato: dopo quasi dieci anni la società (americana, ma si potrebbe dire anche occidentale) è una repubblica fondata sulla connessione, sulla rete, e sulle relazioni tenute tramite questa con ogni tipo di terminale. E infatti troviamo l’uso alienante del cellulare come telefono, del cellulare come mini computer, del tablet e del computer stesso. Coppie che usano la chat per non incontrarsi, giornaliste che cercano scoop dentro le chat erotiche, ragazzi che usano Facebook  come strumento di bullismo o come possibilità unica di conoscere qualcuno. C’è tutto, ed è anche molto ben amalgamato dall’abilità di Rubin che, soprattutto nella prima parte, introduce in modo entusiasmante, con l’aiuto di una colonna sonora adeguata e perfettamente contestualizzata, le singole storie. Lo sviluppo, a parte forse quello della coppia in crisi, è curatissimo e la sceneggiatura senza sbavature. Un aspetto troppo stereotipato e anche qui presente della cinematografia americana è il moralismo, qui manifestato nei ruoli dei padri di famiglia, sempre troppo impegnati e inadeguati all’educazione di un figlio che quindi va in crisi. Senza entrare troppo nel merito, poco bella è anche l’anticamera della scena finale, un orrido ralenty su una sorta di eventone contemporaneo, troppo forzato: pecca a cui è stato posto ottimamente rimedio, perchè poi segue un finale che per capacità e tempi di racconto torna ai fasti della prima parte. Il cast non comprende star, ma un gruppo affiatato di attori comunque noti, che ben si adattano ai toni da commedia drammatica imposti dal regista. Concludendo, Disconnect non sarà il film dell’anno come recita la locandina, ma sicuramente uno dei film da vedere molto volentieri.

Un compleanno da leoni (Jon Lucas, Scott Moore, 2013)
Iniziamo con il difendere subito il titolo italiano: il film è l’opera prima degli sceneggiatori di Una notte da leoni e parla di una sbronza di tre amici per il ventunesimo compleanno di uno di loro. La curiosità sta nel gioco di parole tra i due titoli originali: se il predecessore (e ormai capostipite cinematografico) fa Hangover (postumi di sbronza), questo recita 21 & over, che oltre a segnalarci la trama (un ventunesimo compleanno) se lo pronunciate senza pensieri verrà fuori  proprio quello che dice il film: una sbronza tra ventunenni (“twentyone andover”). Traduzione, quindi, inevitabile, suvvia. Ora, perchè sprecare tutta la recensione con un’inutile predica sul titolo? Perchè c’è qualcosa della trama non intuibile? Misteri da svelare? Fa ridere? Abbastanza, soprattutto nelle scene volgari. È sciocco? Sì, molto. Somiglia al capostipite? È uguale ma non c’è flashback. È da vedere? Tendenzialmente no, e soprattutto direi non al cinema. Però carino il gioco di parole del titolo, eh?

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