Documentari da vedere: dal nuovo Moore ai Dandy Warhols

Where To Invade Next (di Michael Moore, 2015)
Torna Michael Moore, il regista d’inchiesta che ha infiammato i primi anni del millennio coi magnifici documentari Bowling A Columbine e Fahrenehit 9/11, oltre agli ottimi e precedenti Roger And Me e Canadian Bacon (questi ultimi da recuperare davvero). Dopo un altro decennio di guerre, Moore sbeffeggia il suo paese chiedendosi quale nazione europea (e dintorni) poter invadere, non per uccidere o saccheggiare, ma per acquisire alcune buone abitudini su lavoro, istruzione, memoria storica, legalizzazioni varie e altri temi che il regista toccherà nelle tappe del tour. Moore si rivolge agli americani mostrando esempi spesso portati all’eccesso, come quello che riguarda l’Italia, facendo apparire i paesi europei come privi di peccato ed esclusivamente carichi di insegnamenti. Il suo registro rispetto ai precedenti infatti cambia, perché passa dall’analisi della realtà a un gioco caricaturale e allegorico che può funzionare esclusivamente come impietosa metafora della società americana che non è. Il paradosso è certamente divertente ma disorienta i fan di Moore e probabilmente li delude dal punto di vista prettamente giornalistico. Ma il grosso reporter americano, che ha sempre strizzato l’occhio allo spettacolo, pur non facendo del tutto centro dal punto di vista dell’inchiesta, offre uno sguardo divertente, originale e quasi fumettistico di ciò che non è il suo paese e che crede lo siano gli altri. Un po’ naif, piuttosto divertente, inevitabilmente lungo, e sempre un valido spunto di riflessione.

Dig! (di Ondi Timoner, 2004) Documentario musicale premiato al Sundance che parla del controverso rapporto tra due straordinarie band americane: i più noti Dandy Warhols e i (qui) semisconosciuti Brian Jonestown Massacre (BJM). La storia dei due gruppi è “narrata” (ma in realtà ricostruita dalla regista) dalla voce di Courtney Taylor-Taylor (il doppio cognome se lo è aggiunto lui), voce e leader dei Dandy, che dichiara immediatamente il suo amore per i BJM, e mette in parallelo la forte ascesa verso il successo del suo gruppo in antitesi all’enorme difficoltà di emergere del gruppo guidato (a dir poco) dal geniale Anton Newcombe, autore e polistrumentista di eccezione, visto che suona 90 strumenti diversi. Newcombe è genio e sregolatezza, eccede nel consumo di droghe e rifiuta contratti con le major ogni volta che un’etichetta mette gli occhi su di lui, quando qualche scout va a osservarlo, lui interrompe gli spettacoli. C’è un rapporto di amicizia e stima tra i gruppi, che negli anni peggiora e sembra trasformarsi in forte rivalità e invidia, e che il documentario non risolve se non con la dichiarazione d’amore finale (non sappiamo se ricambiata) di Taylor-Taylor per il genio e soprattutto la sregolatezza di Anton. Con gli anni i Dandy non hanno più toccato i vertici raggiunti ai tempi del documentario (che si chiude all’apice della carriera), mentre i BJM hanno prodotto una quantità impressionante di dischi (18 dal 1993 al 2014), senza mai grande successo, ma sicuramente con l’etichetta di band di culto, e con un numero folto ma nascosto di seguaci. Entrambi i protagonisti hanno criticato il film e soprattutto l’analisi della figura di Newcombe. Film che resta imperdibile sia per i fan, sia per chi deve ancora scoprire due band assolutamente straordinarie: un modo ideale (e imperdibile) per scoprire i Dandy Warhols sarà anche il concerto che la band terrà al Bronson di Madonna dell’Albero sabato 14 maggio.

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