Drive e Kynodontas, due film duri e bellissimi entrambi vincitori a Cannes

Drive, di Nicholas Winding Refn (2011)
Nei primi cinque minuti mozzafiato, scanditi dalla bellissima colonna sonora elettronica dei Chromatics, si assiste a un inseguimento tra la polizia e alcuni anonimi rapitori, che vede vincitori questi ultimi. L’artefice di questo successo è un misterioso e taciturno Driver (così si chiama nel film), che di giorno è un timido meccanico, e di notte un mercenario al servizio di potenti. I problemi, come di consueto, nasceranno dall’incontro con una ragazza dolcissima. Drive è un film che ti cattura immediatamente e fatica a mollarti anche dopo i titoli di coda, grazie a un magnifico impatto visivo e una cura maniacale della colonna sonora, qui rigorosamente elettronica. A questo si aggiungono una coppia di interpreti (Ryan Gosling e Carey Mulligan, sguinzagliate il vostro google e cercatevi i loro film, ne vale la pena), perfettamente inseriti nell’atmosfera del film: una recitazione, la loro, basata principalmente su sguardi, silenzi e sorrisi, molto più esplicita di tante parole. Il punto debole, se vogliamo, è la sceneggiatura: la storia dell’angelo sterminatore che si mette contro tutto e tutti per amore, è scritta in maniera piuttosto convenzionale, e soprattutto nella seconda parte non ci sono sorprese. Un peccato veniale perché il film, una volta tanto, non dipende dalla storia. Drive, pur attingendo a piene mani dal passato, è un’opera moderna che dà allo spettatore, concentratissimo per tutti e cento i minuti, un fortissimo profumo di novità e gusto per un qualcosa di mai visto. Non è un caso che il film abbia vinto la miglior regia all’ultimo Festival di Cannes, non è un caso che il regista sia un certo Nicholas Winding Refn, autore dello splendido Bronson, e della più che interessante trilogia di Pusher. Da vedere rigorosamente al cinema.

Kynodontas, di Yorgos Lanthimos (2009)
«Un Mare è una poltrona in cuoio con braccioli di legno, come quella che c’è in soggiorno. Esempio: non rimanere in piedi, siediti nel Mare e chiacchieriamo». Una coppia ha cresciuto i loro figli in casa, sempre. Spiegando loro che oltre c’è un mondo malvagio e che potranno visitarlo solo quando saranno caduti i loro canini (in greco “kynodontas”). I vocaboli “esterni” vengono rielaborati, gli aerei fatti credere grandi come modellini, i gatti considerati belve cannibali. Un mondo orrorifico in cui solo a una ragazza viene consentito l’ingresso, per soddisfare compagnia e bisogni primari dei due figli (maschio e femmina) ormai post adolescenti. L’esordiente Lanthimos (miglior sceneggiatura a Venezia, con la sua opera seconda Alpis), appresa la lezione del maestro  Haneke, costruisce, con ritmo lento e doloroso, un horror psicologico ricco di inventiva, originalità e di inquietudine. La bravura di questo regista si vede da molti aspetti: la regia, innovativa, ricca di primi piani a volte sui volti, a volte su parti del corpo non necessariamente (così sembra) coinvolte nei dialoghi o nelle scene; la costruzione di un dramma e di una crescita, tramite un espediente narrativo, che partendo in modo leggero e spesso divertente (la scena dell’aeroplano caduto, nella sua inquietante assurdità, è strepitosa), sfocia in un crescendo di dramma e ritmo, alzando la tensione e l’empatia che si è creata tra l’incredulo spettatore e i suoi protagonisti. Film duro, pesante e bellissimo, vincitore della sezione Un certain regard a Cannes e passato pure dal nostro Mosaico, prima di finire nel dimenticatoio. Sottotitoli disponibili in rete.

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