Due film per chi non ama l’intrattenimento. E un Oscar… annunciato

Anomalisa (di Charlie Kaufman e Duke Johnson, 2015)
Charlie Kaufman, non notissimo come regista, è uno sceneggiatore di culto: tra i tanti film di successo che ha scritto, ricordiamo Essere John Malkovich e Se mi lasci ti cancello, due opere che parlano di mente e comportamento. Anomalisa è un cartone animato girato in stop-motion (alla Tim Burton, per intenderci), grazie all’aiuto del regista specialista Duke Johnson,  interpretato da personaggi adulti, per spettatori adulti. La trama è apparentemente molto simile a Lost in Translation, e vede un famoso scrittore avvolto dalla sua solitudine incontrare e innamorarsi di Lisa, una donna talmente qualunque da costituire per lui un’anomalia (da qui il gioco di parole). Il segno di Kaufman si vede in tantissimi aspetti, dall’estetica dei personaggi alla voce delle donne, dalla miriade di pensieri che trasmettono i protagonisti alle trovate e alle citazioni cinefile, che lascio a voi scoprire. Le ambizioni sono molte, sia dal punto di vista della storia che della messa in scena: se nel primo caso ci troviamo di fronte a un’analisi “adulta” e kafkiana della mente umana (come invece lo era in modo più ludico Inside Out), dall’altra si vola alto in una sorta di reinterpretazione animata dei precedenti lavori che il regista ha scritto. Ma a differenza di questi, il ritmo latita e la ricerca continua di stupirci con effetti non speciali, ma cinefili e culturali, appesantisce troppo la narrazione, anche se siamo di fronte, senza ombra di dubbio, a una piacevole anomalia nel genere animazione. Infine una curiosità (fonte mymovies.it): il film è ambientato all’Hotel Fregoli, nome legato a una sindrome secondo cui un individuo si sente perseguitato da una persona che assume le sembianze di coloro che lo circondano. Un ulteriore elemento che fa di Anomalisa un prodotto molto intelligente, prezioso, originale, ma certamente ostico e poco avvezzo a intrattenere.
Il club (di Pablo Larraìn, 2015)
Larraìn è una sorta di giovane Ken Loach cileno, la cui filmografia militante (ma molto sobria e spesso emotivamente distaccata) ha sempre incantato le giurie dei festival. Qualcuno di voi avrà visto Tony Manero, o No – I giorni dell’arcobaleno, sul referendum che fece cadere Pinochet. Il nuovo film ha una forte sintonia con lo Spotlight neo vincitore di Oscar, perché parla di preti pedofili. Similitudine che termina qui, perché il Club è una casa di riposo che funge da ingiustamente agiata prigionia per questi delinquenti. Non solo preti, ma ancora politica per Larraìn, che racconta la vita e le vite dei protagonisti segregati, usa un linguaggio durissimo e molto diretto, spoglia i personaggi con una regia essenziale ma solo apparentemente semplice, in quanto perfettamente inserita nell’ambiente e nelle anime dei personaggi. Impeccabile ma senza concessioni allo spettacolo, Il Club è un film che piacerà più agli addetti ai lavori e ai cinefili severi, piuttosto che a un pubblico che, a ragione, chiede al cinema un po’ più di charme e intrattenimento, inteso assolutamente non come divertimento, ma coinvolgimento. Questo Club è un po’ troppo esclusivo.

L’edizione Oscar 2016 ci riempie di orgoglio perché quasi due anni fa, parlando di un film mai distribuito ma bellissimo, Short Term 12, si disse che la giovane protagonista era “di una bravura disarmante”. Brie Larson quest’anno ha vinto il premio Oscar come miglior attrice per Room, prossimamente su queste lungimiranti pagine.

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