Entusiasmante Birdman, eccetto che per il dessert…

Birdman (di Alejandro Gonzales Inarritu, 2014)
Il dessert, al ristorante, è il piatto più importante. Perchè si gusta per ultimo. E se non piace, il pasto risulta irrimediabilmente rovinato. Per questo ogni buon ristorante presta molta attenzione e corre pochi rischi per il dolce. No, non siete capitati nella rubrica della maestra Schiavina, perché la scena finale di un film equivale proprio al dessert: stiamo parlando di Birdman, un film bellissimo, eccezionale per 100 minuti. Solo che di minuti il film ne dura 120; tralasciate inoltre il trailer, che non rende assolutamente giustizia al film. Birdman parla della prima teatrale di una commedia di Raymond Carver portata in scena da un attore in declino, in precedenza famoso per una trilogia di film sul supereroe “Birdman”, parla delle difficoltà della gestione del declino della fama e del clamoroso scontro tra gli ego dei due attori protagonisti, lo stesso regista e il co-protagonista. Ma soprattutto Birdman è un film sul cinema perché il suo protagonista è Michael Keaton, celebre per il suo Batman di fine anni ’80 e caduto nell’oblio; il suo co-protagonista è Edward Norton, sulla cresta dell’onda a inizio secolo e senza conferme da svariati anni. Diversa la truppa femminile, composta dalla solida Naomi Watts e dalla nuova star Emma Stone. Completa il cast Zach Galifianakis, star del film più rivoluzionario degli anni 2000, nella sua trama nel suo sviluppo e nei suoi attori: Una notte da leoni. Un riscatto, da parte dei due protagonisti, che si è sicuramente concretizzato nei risultati eccellenti dei loro duetti, punto di forza del film assieme alla regia. Questo perché Inarritu, stravolgendo il suo stile, decide di affidarsi a un (fintamente) unico piano sequenza (la camera stacca, ma lo fa nei cambi di giorno), in modo che la macchina da presa accompagni i suoi protagonisti per tutto il film; unità di luogo ma non di tempo (di notte si dorme) sono scelte eccezionali, così come le trovate per i piani sequenza alcune volte geniali e altre fantastiche (in una si passa da YouTube del cellulare al televisore!), che insieme ai dialoghi serrati, all’uso della colonna sonora spesso suonata live sulle strade di New York, danno al film un ritmo incredibile a cui è difficilissimo tenere il passo. Una sinfonia cinematografica, che ricorda il cinema di Altman de I protagonisti per il soggetto, di America oggi per Carver e di Radio America per la coralità, ma che riesce a rinnovarsi integrando perfettamente i mezzi di questi tempi; un’orchestra di attori, dialoghi, situazioni gestita in modo entusiasmante, tale da fare venir voglia di alzarsi in piedi, durante certe scene. Poi il regista, dopo aver sparso qua e là il conflitto tra il protagonista e il suo ego, a mezz’ora dalla fine decide di rinchiudersi nel personaggio di Keaton, stravolgendo la coralità dell’opera e premendo l’acceleratore su intimismo e surrealismo, spiazzando tutto e tutti. Un dessert dal sapore strano, che poco ha a che fare con una cena perfetta e a tratti indimenticabile. Un bocconcino amaro che ognuno di voi prenderà in maniera differente, ma che deve certamente provare, perché questo film candidato a così tanti premi Oscar, ci lascia tantissime emozioni. Che siano rovinate o meno, ai posteri l’ardua sentenza.

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