Fargo 2, capolavoro cinematografico del nuovo millennio

Fargo – Stagione 2 (di Noah Hawley, 2015)
La  seconda stagione della serie Fargo è in realtà un prequel della prima (e del film) perché ambientata nel 1979 e vede due protagonisti/antagonisti: da una parte il poliziotto Lou Solverson, che nella serie precedente è l’anziano padre della poliziotta Molly; dall’altra una stravagante coppia formata da un macellaio e da una moglie che forse non è la donna che pare essere. Quest’ultima dà il via alla vicenda, investendo per sbaglio il rampollo di una famiglia mafiosa che in un raptus di follia aveva ucciso un giudice, una cameriera e il cuoco di un ristorante. La scomparsa del piccolo boss scatenerà una serie di eventi incredibili e che non vi anticipo, tra guerre di mafie, vicende nere familiari e i continui interrogativi di un paesino in cui accadono fatti di violenza che non trovano spiegazioni logiche. Fargo 2 è un film unico di circa dieci ore, completo, sorprendente ed esaustivo in ogni sua forma, perché alla vicenda principale che si pone a metà tra un film di gangster e una commedia nera, si affiancano situazioni e personaggi solo apparentemente secondari che condiscono l’opera con sfumature raffinate e uniche: la giovane e forse depressa lettrice di Camus, onirica ed esilarante; la malata e malinconica moglie di Lou, che dona drammaticità, tenerezza e commozione; il nipote della famiglia malavitosa incapace di uccidere che cerca di dare quel volto umano che sua cugina con la sua condotta riesce sistematicamente a cancellare. Fargo 2, oltre che col nero e col giallo (in fatto di generi), gioca con stereotipi, paure e protagonisti dell’America di fine anni settanta, che vanno dal fantasma del Vietnam, all’emancipazione femminile, dalle prime sperimentazioni contro il cancro, alla voglia di dimostrare l’esistenza degli Ufo, passando per la campagna elettorale di Ronald Reagan (interpretato dall’icona horror Bruce “Ash” Campbell), eletto l’anno successivo. Questi sono alcuni degli ingredienti di un’opera che si avvicina più al cinema di Quentin Tarantino, piuttosto che ai Coen, per la dose massiccia di violenza, di uso della telecamera (spesso divino) e del montaggio atemporale. In dieci ore si riesce a provare ogni tipo di emozione possibile da cinema: si ride, si piange, ci si carica di tensione, si prova un pizzico (non molta) di paura, si salta dalla sedia, ci si sorprende, ci si interroga su come andrà a finire e ogni cosa che queste poche righe hanno dimenticato. Non mancano mai le citazioni ai fratelli Coen ispiratori, soprattutto nell’ambientazione e nella colonna sonora, che piacerà moltissimo ai loro fan e non solo, visto che è magnifica. La voce attori e personaggi non è da meno, visto che la protagonista femminile, la “moglie del macellaio” è una Kirsten Dunst semplicemente spettacolare, leggermente ingrassata, ambigua, affascinante e totalmente imprevedibile; dal lato maschile, il “giovane” Lou è un perfetto Patrick Wilson, malinconico e rigoroso come lo sarà Carradine nel Lou anziano. Menzione per lo sceriffo di Ted Danson e, come già scritto, per i caratteristi secondari. Infine l’unico difetto, forse, è rappresentato dall’inutilità dell’ultimo episodio, che cerca di creare un continuo temporale tra il 1979 e il 2006 (anno della prima stagione), a vicenda finita già nell’episodio precedente. Leggerezza che si perdona, soprattutto pensando e sperando in una terza serie, perché questa seconda, oltre a essere migliore della prima, è forse il capolavoro cinematografico assoluto del nuovo millennio.

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