Frankenweenie, come un bellissimo album di cover 

FRANKENWEENIE, di Tim Burton (1984 e 2012)

Tim Burton non è il primo regista che realizza un remake di un suo film; prima di lui il grande Hitchcock (L’uomo che sapeva troppo) e più recentemente un altro grande, Michael Haneke (Funny Games) hanno già percorso con successo questa strada. Burton, però, forte del suo consolidato talento nell’animazione “stop motion”, grazie a Nightmare Before Christmas e La sposa cadavere, “trasforma” il suo omonimo cortometraggio (non tanto breve, 26 minuti) del 1984 proprio in un cartone sulla falsariga stilistica dei (capo)lavori precedenti. Il suoi cartoon, sempre caratterizzati da una vena di humor nero, dove dominano lato oscuro e morte, trovano una storia perfettamente in sintonia: il cane Sparky del piccolo Victor Frankenstein, appassionato di cinema e scienza, muore investito da un’auto; Victor, con le sue conoscenze appena apprese, riporterà l’amato animale in vita. Naturalmente ispirato a Frankenstein, condito con un bel po’ di Pet Sematary di Stephen King (il romanzo è del 1983), il corto provocò allora il licenziamento da parte di Burton dalla Disney (spreco di risorse), ma grazie al personale successo dell’autore fu distribuito nelle sale nel 1993 prima della proiezione di Nightmare Before Christmas, ottenendo un piccolo ma significativo successo. Peccato che la gloria fosse arrivata tardi, per un corto che nel 1984 annoverava un cast perfetto per l’epoca: Victor è Barret Oliver, reduce da La storia infinita, e nel 1993 già ex attore (ora è fotografo); i genitori del bimbo sono Daniel Stern, noto attore generazionale e soprattutto la Shelley Duvall di Shining, Popeye (si, Robert Altman nel 1980 ha girato Braccio di ferro con Robin Williams e l’Olivia più fedele possibile) e Io e Annie, non erano più sulla cresta dell’onda. Per i curiosi, una delle bambine del film è Sophia Coppola. Per sottolinearne il legame, il film è presente negli extra del dvd di Nightmare Before Christmas, in compagnia del primo cortometraggio di Burton, l’affascinante Vincent. La versione lunga e animata, oltre a “gonfiare” (termine tecnico e non dispregiativo) la storia di un’oretta, sfrutta sia soprattutto le tecniche dell’animazione e la possibilità di aggiornare leggermente la storia. Girato in un bellissimo bianco e nero (nel rispetto del corto) e con la tecnica sopra citata, Frankenweenie appare in prima battuta come uno splendido regalo agli amanti del regista, in un cartone che pesca a piene mani dalle origini, mantiene alterato lo spirito e la trama del lavoro originale, e che si vede realizzato proprio come ogni fan avrebbe sognato e immaginato. Per chi non ha mai visto il cartone originale, forse storcerà il naso nel rivedere i soliti temi cari al regista, ma non può che ammirarne ancora la capacità tecniche e l’emozione che inevitabilmente provoca la storia, dove i bambini sono protagonisti dentro la storia ma che forse risulteranno troppo impressionati da quella serie di pur simpatici mostri. I cinefili horror si leccheranno i baffi con tutte quelle citazioni, soprattutto quelle non appartenenti al mondo di Burton. In definitiva, Frankenweenie è come un bellissimo album di cover, realizzato da una band originale che riesce a dare nuove sensazioni utilizzando canali già percorsi. Roba da Nouvelle Vague.

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