Il congedo crepuscolare di Miyazaki senza precedenti

Si alza il vento (di Hayao Miyazaki, 2013)
Si alza il vento ma si alza anche il sipario sulla straordinaria carriera del maestro Hayao Miyazaki, indiscusso re dell’animazione giapponese e internazionale, capace di compiere grandi imprese col suo genere, dal vincere un festival con l’Orso d’Oro a Berlino 2002, fino a far (molto tardivamente) capire agli italiani che il cartone animato è una forma d’arte e di rappresentazione, non un passatempo per bambini. O meglio, non solo, visto che il mondo infantile costituisce spesso il centro delle sue narrazioni. E per congedarsi, così ha detto, dal grande pubblico, il grande Hayao sceglie di realizzare un film completamente diverso dai suoi precedenti, mettendo da parte favole per bimbi (Ponyo e Totoro), avventure ecologiste (Nausicaa e Laputa), epopee surreali (La città incantata e Il castello errante di Howl), per dedicarsi a un mix di generi che solitamente è appannaggio del cinema in carne ed ossa, realizzando un biopic con forti connotazioni del melodramma d’amore. La storia, vera e tratta da un suo stesso manga, di Jiro Horikoshi, il più famoso costruttore d’aerei, giapponese inizia nel 1923, dove poco più che ventenne assiste al terribile terremoto che distrusse mezzo Giappone, fino ad arrivare alla seconda guerra mondiale, linea d’arrivo non casuale perchè centrale nella tematica del film. Alternato infatti a scene oniriche dove conversa con il suo idolo Caproni (grande ingegnere italiano anch’egli realmente esistito), il protagonista che è appassionato di volo e di libertà si interroga sdegnato e impotente sull’uso militare che l’uomo fa degli aerei e sulla stessa politica suicida del suo stato. Tema questo che ha scatenato polemiche, tra chi accusa il pacifista Miyazaki di “flirtare” con un progettista bellico e chi in antitesi gli rimprovera troppo pacifismo. Polemiche sterili dettate dal fatto che il film volutamente si contestualizza a fatica nel secondo conflitto mondiale e non prende una netta posizione politica, ma il regista trasmette con chiarezza il pensiero che il desiderio di volare non ha nulla a che vedere con alcuna guerra. In mezzo al film, una forte e dolorosa storia d’amore, questa non solo inventata ma addirittura tratta da un’altra autobiografia (non si hanno notizie sentimentali su Horikoshi), che rappresenta il punto di forza di un film che all’inizio stenta a decollare, in tutti i sensi. Con l’ingresso del melò, magicamente prendono il volo sia gli aerei di Jiro che la storia di Hayao, dando una potenza narrativa e una connotazione impressionante a tutto il film, deludendo probabilmente chi sperava di portare i bimbi a vedere orsacchiotti giganti, e spiazzando positivamente quegli adulti che con curiosità e devozione si sono avvicinati a questo film. Un’opera crepuscolare, Si alza il vento, che non può essere accostata in alcun modo alle precedenti, se non per lo stile grafico e qualche scena deliziosa e isolata che l’attento spettatore riconoscerà senza problemi. Musiche del fidato e grande Joe Hisaishi e una curiosità legata al doppiatore del protagonista, quell’Hideaki Anno in un ruolo per lui inedito, essendo il regista del magnifico anime Evangelion. Che sia un passaggio di consegne? Nel dubbio, da non perdere.

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