Il coraggioso e difettoso Indivisibili, il complesso e perfetto Enemy

Indivisibili (di Edoardo De Angelis, 2016)
Periferia di Napoli, Castelvortuno, spiaggia, povertà. Viola e Dasy sono gemelle siamesi attaccate sul fianco, e vengono sfruttate dalla famiglia (allargata agli zii) come fenomeni da baraccone, cantando canzoni improbabili (scritte dal padre) e proponendosi, loro malgrado, come icone di una nuova forma di cattolicesimo, lasciando che chiesa (che ne esce con le ossa rotte), famiglia e boss locali sfruttino la loro condizione e anche le loro doti canore. Il giorno in cui viene loro detto che, volendo, possono separarsi, si scoprono diverse: Dasy pronta a una nuova vita, Viola terrorizzata. E la famiglia cerca di proteggere. Partendo da quello straordinario modello di cinema che è Freaks di Tod Browning (nel caso non si conosca, recuperare), il napoletano De Angelis sposa, almeno inizialmente, l’estetica del concittadino Sorrentino, mischiandola al recente e sottovalutato Reality di Garrone. Ne viene fuori un incipit da restare a bocca aperta, a tasso nullo di originalità ma di un impatto visivo straordinario, merito soprattutto, come nel resto del film, della magnetica  interpretazione delle gemelle Fontana, dal talento limpido e che da sole prendono sulle loro spalle il sempre più enorme peso del film per tutta la durata. Già, perché col passare del tempo, soprattutto nella seconda parte, il meccanismo s’inceppa e rischia spesso il corto circuito e cerca parzialmente di ricostruirsi nel finale. Un film certamente coraggioso e ricco di trovate come di difetti che dividerà il pubblico tra chi regge e chi perde, anche volontariamente, il filo del discorso. De Angelis parla un linguaggio senza compromessi che a parer mio, quindi, non riesce a compiersi del tutto nonostante le promesse, anche se Indivisibili resta un tentativo coraggioso e difettoso di scrivere qualcosa di diverso nel panorama del cinema italiano. Personalmente, però, preferisco i modelli originali. O, piuttosto, Jeeg Robot.

Enemy (di Dennis Villenevue, 2013)
Adam è un professore di storia che ha recentemente divorziato e conduce una vita solitaria. Un giorno guardando un film, tra gli attori scopre il suo sosia perfetto e si mette alla ricerca di quest’uomo, che scoprirà essere Anthony, attore di secondo piano, con la moglie incinta. Difficilissimo parlare di Enemy senza svelare una trama contorta il cui significato andrà ben oltre i novanta minuti di film e le più semplici deduzioni; il sempre più talentuoso Villeneuve mette in piedi un meccanismo perfetto, di ispirazione lynchiana, tratto molto liberamente dal romanzo di Saramago L’uomo duplicato. Un film molto personale e intimista che si differenzia dal precedente Prisoners, thriller anche questo ma di stampo più tradizionale e hollywoodiano. Centro della vicenda è un ispirato Jake Gyllenhall, attorno al quale ruotano le fascinose Melanie Laurent e Sarah Gadon (e con partecipazione di Isabella Rossellini), il cui subconscio guiderà azioni e sorti di un personaggio complesso e desideroso di conoscere il suo “doppio”. Ci fermiamo qui per non svelare troppo, ma non si può non lodare l’ingegno, la complessità e la perfetta opera di un regista già grande ma di cui sentiremo presto parlare di nuovo (Blade Runner 2), di grande impatto visivo e pienissimo di spunti per una discussione da cineforum proprio come ai bei tempi. Difficile dire di più, ma mi è piaciuto tanto. Inedito in Italia, sottotitoli disponibili in rete.

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