Il meraviglioso The Hateful Eight, uno dei migliori Tarantino

The hateful eight (di Quentin Tarantino, 2015)
L’ottavo film di Quentin Tarantino è stato accolto con un’inedita e ingiustificata diffidenza, vista la filmografia del tizio in questione. Questo probabilmente è dovuto al fatto che, come l’ultimo e ottimo Django, anche questo film sarebbe stato un western-omaggio alle radici del genere. Mai sottovalutare il buon Quentin, perché il nuovo film è una splendida creatura formata da tanti padri ma che vive di luce propria, meravigliosamente riassunta e narrata in quasi tre ore di film. L’omaggio parte dalla parte tecnica, una pellicola 70 millimetri proiettata in Panavision, un formato di visione eccessivamente panoramico, che rese celebre ai tempi Ben-Hur (in parole povere, un rettangolo con la base molto più lunga dell’altezza, rispetto al solito dei cinema). Specifiche tecniche che, va detto, non fanno parte del mondo western che ha sempre presentato formati meno “panoramici” e più tradizionali. L’ambientazione omaggia il genere di Sergio Leone, perché siamo nei dintorni del 1870 e ci sono tizi con quel cappello, ma non solo, poichè ci troviamo negli stati del Nord in periodo di neve e bufere; certo, la trama parla di una diligenza che raccoglie alcuni personaggi a bordo e si ferma in un conosciuto saloon alle porte della città di Red Rock, per ripararsi dalla tempesta, ma nel suo proseguo il film non esce da quello stanzone. Da quando si entra in questo emporio (che il Panavision ritrae splendidamente), ha inizio il vero film, un thriller psicologico formato da “otto detestabili” personaggi che dicono di essere ciò che probabilmente non sono, e che finiranno per litigare un po’ troppo. Ambientazione quasi teatrale che diventa cinema grazie alla fotografia, dialoghi serrati, tensione alle stelle e ultraviolenza, tutte caratteristiche note nel cinema tarantiniano, a cui si aggiunge una minaccia esterna (la tempesta) e tanti colpi di scena che caratterizzano le restanti due ore di proiezione, talmente dense, entusiasmanti e tese che sarebbero potute essere anche di più. L’ottavo film è uno dei migliori Tarantino di sempre, che va al di là dell’ottimo compito svolto con Django, ma che, come con i suoi primi film (più Bastardi senza gloria) usa il cinema come un mazzo di carte, che mescola, distribuisce, nasconde, scopre e con cui vince! Dopo un prologo western, si assiste quindi a un geniale mix di tantissimi generi e film (con Le iene in prima fila e Hitchcock e Agatha Christie in seconda, ma a elencarli tutti si farebbe notte), mixati in maniera straordinaria e come solo questo genio contemporaneo sa fare. The Hateful Eight non ha solo regia (con voce fuori campo a sorpresa) e fotografia straordinarie, ma si avvale della colonna sonora di un certo Ennio Morricone (si dice con scarti da La cosa di Carpenter, altro film affine, causa tempesta di neve), e di un cast meraviglioso composto da fedelissimi come Samuel L. Jackson, Michael Madsen e Tim Roth, ai quali si sono aggiunti i redivivi (è sua abitudine resuscitare attori quasi ex) Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, l’anziana icona Bruce Dern e i sorprendenti Demian Bichir e Walton Goggins, grandi mattatori di scena. Un’opera divisa in atti, composta e ricomposta con una scelta di montaggio perfetta, certamente lunga, ma a coloro che la reputano noiosa vorrei chiedere quali urgenze avessero dopo per non gustarsi uno spettacolo così grandioso. In più, come in Bastardi, c’è un sottotesto politico, che, soprattutto grazie al finale, tanto nascosto non è.
Concludiamo con una curiosità: la chitarra che suona la protagonista era un’originale Martin del 1870 prestata dal Martin Museum, che doveva essere sostituita da una copia quando Russell la fa in mille pezzi. Il fatto che la sostituzione per un errore non sia avvenuta fa sì che sia questa la scena più violenta di questo bellissimo film…

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