Il noir drammatico e quello divertente: entrambi da vedere

Chi è senza colpa (di Michael R. Roskam, 2014)
Titolo originale: The Drop – La consegna, ma era troppo difficile. Nonostante il titolo italiano e la scarsissima promozione, questo è un film che ha molteplici motivi di interesse. Innanzitutto a livello emotivo, perché è l’ultimo film di James Gandolfini, il Soprano più famoso del mondo prematuramente scomparso nel 2013; inoltre il film è tratto da una novella di Dennis Lehane, le cui opere portate sullo schermo sono diventati film del calibro di Mystic River, Gone Baby Gone e Shutter Island: uno scrittore eccellente che qui firma anche la sceneggiatura; un regista già noto ai festival europei per il suo talento, ovviamente sconosciuto in Italia; il resto del cast, oltre alla collaudata e brava svedese Noomi Rapace, vede uno dei migliori attori del momento, Tom Hardy (Bronson e Locke, mica briciole), e un emergente belga, attore feticcio del regista, di cui sentiremo prestissimo parlare (ma difficilmente pronunciare il cognome), Matthias Schoenaerts. E il noir, diciamolo subito, è molto molto bello. Due cugini gestiscono un bar posseduto dalla malavita cecena, hanno un passato oscuro; e mentre uno di loro tenta di aggirare i boss, l’altro si ritrova tra una storia sentimentale in divenire e un cucciolo di pitbull da allevare. Trama ridotta all’osso per non rovinarvi una storia costruita, gestita e recitata in maniera perfetta, coi lenti ritmi del noir, e con tante sorprese all’orizzonte. Chi cerca però sorrisi, consolazioni e rassicurazioni stia alla larga da un film, la cui demenziale traduzione italiana ci suggerisce almeno la natura di tutti i protagonisti. Una storia senza vincitori, drammatica e tesa; una città, Chicago, vista come un decadente teatro del crimine. Il difetto? Uno solo: non c’è nulla di nuovo, che non avete già visto in altri film. Ma qui gira tutto bene.
The Liability (di Craig Viveiros, 2012). Storie di inspiegabile invisibilità. In concorso al festival di Torino, The Liability intanto segna il ritorno di Tim Roth al cinema tarantiniano, poi rappresenta una commedia nera leggera, in perfetto stile pulp, di soli 82 minuti, godibilissima da seguire. Lo sprovveduto Adam (grande Jack O’Connell) è un figliastro imbranato che distrugge l’auto del patrigno, un boss in tutti i sensi (Peter Mullan, mica briciole), che lo costringe a portare a termine una missione per suo conto lavorando per il misteriosissimo Roy (Roth). Viveiros ama l’Italia, visto che affida l’incipit a Fred Bongusto e alla sua Una rotonda sul mare, e come già detto cita e prende a piene mani dal cinema di Tarantino e dei Coen, non raggiungendone i livelli, ma col passare dei minuti va oltre il semplice racconto pulp per esplorare le psicologie e i legami umani. Niente di memorabile, ma una variante gustosa al genere, condita da ottimi ingredienti quali attori, musica, ritmo e fotografia. Ci troviamo quindi di fronte a un prodotto di perfetto intrattenimento che farà riposare in modo gradito il palato dei cinefili e divertirà non poco tutti gli altri. Ma se la distribuzione latita, i sottotitoli italiani no.

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