Il nuovo Woody Allen, tra le cose migliori della sua seconda vita

Blue Jasmine (Woody Allen, 2013)
Splendida donna (e una splendida attrice, Cate Blanchett), ex protagonista della vita mondana di New York, reduce da un fallimento familiare, Jasmine si trasferisce a San Francisco a vivere una vita più umile, molto più umile, ospite della sorella. Una vita completamente diversa e ricca di personaggi di un ceto così basso per lei che non avrebbe mai neanche pensato di conoscere. Il film è di Woody Allen, lo dicono gli inconfondibili titoli di testa, stesso font, stesso jazz, di un regista che ha da anni abbandonato l’idea di cinema che lo ha visto protagonista prima comico, poi decisamente più serioso e profondo, della storia della cinematografia americana. Questo secondo Allen, così diverso dal giovane regista degli anni settanta e ottanta, pare che abbia due diverse, distinte anime registiche. La prima, con lo stesso regista nel ruolo di protagonista, vede una stanca e spesso noiosa ripetizione di quello che è stato il suo cinema: pur divertendo spesso, gli ultimi vent’anni non hanno detto nulla di particolarmente nuovo, tanto che chi vi scrive, per ricordare qualche battuta (e anche la maggior parte dei titoli dei film), dovrebbe far uso di motore di ricerca. La seconda anima ci piace parecchio, perchè nel 2005 ci ha regalato il meraviglioso Match Point, raffinato dramma esistenziale raccontato magistralmente sotto forma di thriller, senza il connubio regista-attore, e carico di una sorprendente freschezza che ha rinvigorito una carriera già costellata di drammi di altissimo livello (si veda la produzione anni ottanta). Inutile dire che del secondo Allen fa parte anche Blue Jasmine, che pur non essendo un capolavoro, entra di diritto sul podio della sua seconda produzione. Già detto della magnifica e bellissima Cate Blanchett, colonna portante del film, ciò che sorprende di quest’opera è la raffinata capacità di disegnare una sorta di parabola, partendo da un reale dramma, crescendo con momenti di pura commedia, per poi tornare sui passi da cui era partito: non si ride, ma per lungo tempo l’umore è certamente allegro, per poi fin troppo bruscamente cedere alla forza della storia (e del personaggio Jasmine) e tornare seduti accanto alla protagonista che ama un po’ troppo parlare da sola. Come nell’altro grande film di Allen II, anche qui il caso decide la sorte dei nostri protagonisti, con una semplice banalità voluta e sconcertante, atta a sottolinearci l’enorme fragilità dei nostri destini, di come una mattina, una battuta, una bugia o un incontro possano rivoltare completamente le nostre esistenze. Condita di flashback che offrono il contesto sociale, economico ed emotivo della Jasmine di inizio film, regia e narrazione si fondono in maniera perfetta, senza mai inciampare in cadute di stile o di ritmo; ci sono tocchi del personaggio Allen in alcuni personaggi minori (il dentista, mitico) e c’è certamente la nevrosi dell’autore nella sua protagonista. Tutto lieve, leggero e aggraziato come la sua magnifica interprete.
Nota a margine: è uscito nelle sale Still Life di Uberto Pasolini, produttore e regista con solo due film (l’altro è il simpaticissimo Machan) all’attivo. Still Life, prima di ogni eventuale e forse non necessaria recensione, è assolutamente da non perdere. A Natale si può ancora andare al cinema.

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