Il primo episodio di Paranormal Activity e un gioiello maledetto da riscoprire

Paranormal Activity, di Oren Peli
Sulla scia di The Blair Witch Project, uscito una decina d’anni prima, Paranormal Activity è un horror cosiddetto “low budget”, girato cioè con mezzi molto semplici e costato pochissimo. La trama è estremamente semplice: Micah e Katie, freschi conviventi, avvertono demoniache presenze aggirarsi per la casa di notte. Per documentare e analizzare l’accaduto (e per farlo vedere a noi), Micah gira tutto con una telecamera, puntata su di loro anche (e soprattutto) mentre dormono.  L’obiettivo dichiarato del film è di inquietare e spaventare lo spettatore, con una rappresentazione il più possibile fedele della realtà: non è un caso che le riprese siano di bassa qualità e palesemente amatoriali, che tutte le scene siano casalinghe, e che la casa stessa sia un appartamento semplice, solare e con nulla di sinistro. L’inserimento di elementi sovrannaturali nel contesto volutamente normale di una vita di coppia, vuole essere la novità e il motivo di orrore per lo spettatore. Sull’originalità non c’è dubbio, ma sullo spavento è proprio il contesto iperrealista della storia a provocare qualche sbadiglio piuttosto che terrore. Quella che doveva essere l’arma vincente finisce per essere un boomerang al film stesso, che non riesce a mantenere quel poco di tensione che riesce a creare. Un vero horror ha bisogno dell’elemento fiction, ha bisogno del mezzo cinematografico: d’accordo nel non strafare, ma il Kubrick di Shining ci insegna che un po’ di sangue e regia sono ingredienti indispensabili per un grande horror. Così, somiglia più a un compitino ben svolto piuttosto che un grande film. In rete e negli extra del Dvd sono presenti finali alternativi, che poco cambiano le cose.   5

Le regole dell’attrazione, di Roger Avary
Dall’orrore nel quotidiano a quello della vita quotidiana, che i protagonisti ricchi figli di papà del Camden College, nel New Hampshire, buttano via passando tutto il tempo a drogarsi, ubriacarsi e a fare sesso nelle condizioni più disarmanti possibili. Dall’omonimo, bellissimo romanzo di Bret Easton Ellis (che ha recentemente pubblicato Imperial Bedrooms), il film di Avary è uno dei gioielli invisibili del decennio cinematografico che sta per concludersi. Romantico, cinico, cattivo, violento e spiazzante, sia nelle situazioni mostrate che nel modo di mostrarle, il film narra le storie di Paul che cerca l’amore di Sean, che a sua volta desidera Lauren, che chiuderebbe volentieri l’assurdo triangolo amoroso se nella sua vita e nel suo immaginario non ci fosse Victor. La trama, già di per sé difficile da narrare, è ottimamente presentata con un montaggio che ignora la continuità temporale della vicenda, tecnica che Avary ha già saggiato in un capolavoro come Pulp Fiction, di cui è co-sceneggiatore. Il bizzarro e talentuoso regista mette in campo un team di attori perfetto, a partire dal Dawson televisivo James Van Der Beek (lui certamente invisibile dopo questo film), Ian Somerhalder (Lost) fino alla splendida Shannyn Sossamon, una favolosa attrice che il cinema ha sempre accarezzato senza mai consacrare (Wristcutters). Uscito in Italia al cinema con tre anni di ritardo e qualche casuale taglio alla pellicola, riversato in modo identico in Dvd, ma è ugualmente magnifico.   8

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