Il sopravvalutato Alexander Payne di Paradiso amaro e il dimenticato Rob Reiner

Paradiso amaro, di Alexander Payne (2011)
Alexander Payne è un regista sopravvalutato: i suoi Election, A proposito di Schmidt e Sideways sono commedie non indipendenti, con attori noti, ben realizzate, ma che non fanno gridare ad alcun miracolo. L’ultima fatica di un autore coccolato e puntualmente candidato agli Oscar, Paradiso amaro, non fa eccezione: un film ben realizzato, molto ben recitato, che pur trattando il tema dell’interiorizzazione del dolore, non scade nel patetismo. Il bravo Clooney è protagonista di una vicenda che vede il suo personaggio lottare su due fronti: la vendita di uno smisurato terreno che frutterà a lui e ai suoi cugini una forte somma (il titolo originale è The descendants, i discendenti) e contemporaneamente scoprire che la moglie in coma irreversibile aveva un amante, e ritrovarsi due figlie che conosce appena. L’ambientazione, e da qui il titolo italiano, è davvero un paradiso: le Hawaii sono ben fotografate nel loro contrasto tra le incredibili bellezze naturali e i grattacieli che sovrastano i grandi centri. Della trama non va detto oltre, se non sottolineare che nell’ultima parte, davvero troppo hollywoodiana e “cercaoscar”, la lacrima viene cercata con fin troppa insolenza. Complessivamente, però, si tratta del classico film con cui passare due ore in serenità e tristezza (comandata), oltre che al caldo, cosa che in questo periodo non fa male. Nota a margine per tutti i fan di Twin Peaks: uno dei cugini (si vede all’inizio di sfuggita e meglio alla fine) non è altri che il redivivo Michael Ontkean, alias il fantastico sceriffo Truman, compagno di sventure dell’agente Cooper nell’indimenticabile serial: bentornato, sceriffo!

Flipped, di Rob Reiner  (2010)
Rob Reiner è un regista sottovalutato: solo gli appassionati legano il suo nome ad alcuni dei film più belli degli anni ottanta, quali Stand By Me, Harry ti presento Sally, Misery non deve morire e La storia fantastica, oltre a uno dei primi mockumentary (documentari finti) del cinema, il geniale This is Spinal Tap, sulle peripezie di un’inesistente band metal! Lasciamo stare che nei decenni successivi ha conosciuto il declino (Codice d’onore non è male, dai), ma il suo nome dev’essere garanzia di distribuzione italiana. E invece no, Flipped (che vuol dire “capovolto”) non attraversa i nostri confini. Siamo all’inizio degli anni sessanta e il film narra la storia d’amore tra due bimbi, che abitano l’uno di fronte all’altra, da entrambi i punti di vista (da qui, e non solo, il titolo). Espediente gustosissimo. Ambientato in un arco di tempo che va dai sette anni fino all’adolescenza, il film mostra attraverso gli occhi dei suoi protagonisti, un mondo che a cinquant’anni di distanza sembra remoto, una comunità che vive di uova, giardini, grandi alberi e che s’interroga come le galline facciano le uova. Siamo dalle parti di Stand By Me, territorio che il regista conosce talmente bene che lo racconta con grazia, eleganza e senso dello humor, costruendo personaggi secondari di enorme spessore e interesse, come il nonno o i due padri (Aidan Quinn e Anthony “Dr. Green” Edwards). Gli ingredienti per emozionare e piacere sono perfetti, forse troppo secondo qualcuno, ma Flipped, molto più dei celebrati “film da oscar” è davvero un piacere da vedere. Per pochi, a quanto pare, visto che di italiano ci sono solo i consueti sottotitoli disponibili in rete. Da non perdere.

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