Il sufficiente ma deludente Steve Jobs di Danny Boyle

Steve Jobs (di Danny Boyle, 2015)
Cupertino, California, 1984, dietro le quinte. Dopo il successo dell’Apple II sta per iniziare la presentazione dell’attesissimo Macintosh, un computer destinato a cambiare la storia grazie all’avvento dell’interfaccia grafica (in realtà inventata da Xerox nel 1981 e soltanto “rielaborata” da Jobs), il cui fiasco porterà all’allontanamento da Apple del suo co-fondatore. San Francisco, California, 1988, dietro le quinte. Viene presentato il progetto “solista” dell’inventore del Macintosh, il NeXT, un lussuoso e costoso macchinario ancora privo di sistema operativo. Lo stile conta più della sostanza, e gli utenti più che un computer vogliono una macchina bella e che faccia quello che vuole lei. Idee vincenti solo nel nuovo secolo, anche il NeXT sarà un fiasco. San Francisco, California, 1998, dietro le quinte. Steve è tornato in Apple e si prepara alla sua consacrazione definitiva, presentando il suo primo vero successo commerciale, l’iMac. Una storia in tre atti che oltre ai computer, presenta in prima persona il difficilissimo rapporto tra il protagonista e la figlia. Un altro film su Steve Jobs, figura affascinante, controversa, protagonista della storia dell’informatica e suo malgrado eroe tragico per la prematura scomparsa. Dopo la dignitosa cronistoria del 2013 con protagonista Ashton Kutcher, in cui in modo sbrigativo ma ben illustrato si narrava la stessa storia, ecco un film che vuole essere altro, vuole focalizzare su momenti precisi e sulla parte prettamente intima del suo protagonista. E dietro la macchina da presa c’è un campionissimo, un numero uno capace di regalare in vent’anni un numero di cult movie da far paura, da Piccoli omicidi tra amici a Trainspotting, da The Beach a The Millionaire, da 127 ore a Sunshine passando per l’ottimo horror 28 giorni dopo. Il film è ben girato, i dialoghi sono ottimi e la storia regge. Ma tutto questo non basta, perché in ogni aspetto il film si dimostra inferiore a suoi illustri colleghi. I dialoghi scritti da Aaron Sorking sono il punto di forza del film, ma lo stesso sceneggiatore ha scritto The Social Network, infinitamente superiore; l’idea della telecamera che segue il suo protagonista dietro le quinte ricorda molto Birdman, però ben più efficace e penetrante; della storia di Jobs si intuisce qualcosa ma non tutto, e allora perché non guardarsi il già citato film del 2013; infine il film punta molto sul rapporto uomo di successo / pessimo padre, una storiella già vista milioni di volte nel cinema americano; Fassbender è bravo, ma… non gli somiglia per niente. Sufficiente, ma deludente.
Lost in 2015: Noi e la Giulia (di Edoardo Leo, 2015)
Dopo l’ottimo Pif, anche l’attore e regista Edoardo Leo prova a scherzare sulla malavita: un gruppo di giovani falliti (quasi un film parallelo a Smetto quando voglio, con lo stesso protagonista) prende in gestione un agriturismo in una terra controllata dalla camorra. Il registro del film è immediatamente chiaro: siamo nel campo della caricatura, del comico e della satira, e l’obiettivo è particolarmente centrato perché il film pur nella sua leggerezza riesce a far parecchio ridere pur parlando di qualcosa di terribilmente serio. Non manca nulla: ritmo, colori, trovate, bei personaggi e attori, su cui spicca un esilarante e tragicomico Carlo Buccirosso. Zalone ci ha insegnato che il trinomio italia / commedia / risate  funziona, quindi vediamo di recuperare e salire di livello. Disponibile in Dvd e dintorni.

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