Il telefilm newyorkese di Apatow e la porcheria mai vista di Malick

QUESTI SONO I 40, di Judd Apatow (2012)
Judd Apatow, negli Stati Uniti già nuovo alfiere della commedia, in Italia è un signor nessuno. Pochi ricordano Molto incinta o 40 anni vergine, o per lo meno non lo legano allo stesso autore. Proprio da due personaggi di Molto incinta, nasce questa storia parallela, che vede i 40enni Pete e  Debby alle prese con la vita quotidiana, composta da lavoro difficile, figlie difficili e un ancor più difficile accettazione della loro età. Apatow si pone come un novello Woody Allen, pur senza possederne il talento: il protagonista maschile, interpretato dall’ottimo Paul Rudd suo amico, è talmente il suo alter ego, che per non fargli mancare nulla gli affianca nel cast la sua reale moglie e le sue due figlie. In particolare è nel ruolo della moglie che notiamo i primi difetti. Vivendo sui dialoghi e non sugli eventi,  la sensazione è che questa commedia non sia né carne né pesce: dopo un po’ gli stessi dialoghi risultano ripetitivi e soprattutto non pungono come dovrebbero; se da una parte non si ride abbastanza, dall’altra non si va particolarmente a fondo nella psicologia dei personaggi, che risultano ampiamente stereotipati. Certo, siamo nel 2012 e le figlie guardano Lost sul tablet, ma per oltre due ore (Apatow non ha il dono della sintesi), ci sembra davvero di assistere a una maxi puntata di un (buon) telefilm newyorkese. Con un titolo così, ci si aspetterebbe un affresco più corale e più completo di questa bella generazione (autoreferenzialità, sorry), e non le piccole peripezie di una famigliola a maggioranza femminile. Da questo punto di vista, recuperate l’inedito (ma già recensito qui) Friends With Kids, che ha qualcosa in più. Col passare  dei minuti il film cresce, e anche in virtù della bella scena finale, il risultato non è da buttare, ma, oltre al minutaggio estremo, ci lascia la sensazione che si possa guardarlo comodamente in poltrona, e soprattutto che… questi potrebbero anche non essere i 40.

TO THE WONDER, di Terrence Malick (2012)
Terrence Malick è un mito, un ex regista maledetto che dopo due film grandissimi (La rabbia giovane, del 1971 e I giorni del cielo, del 1978, da guardare assolutamente), era sparito dalla circolazione e tornato solo nel 1998 con La sottile linea rossa, film interessante e imponente, ma che ignora completamente come in assenza del regista siano stati realizzati Apocalypse Now, Full Metal Jacket, Platoon, a rendere inutile l’opera. Però Malick tra i critici è intoccabile e si urla ovunque al capolavoro. Il regista, viziato da questi inutili e autoreferenziali decantatori di un certo cinema ben poco fruibile, si radicalizza girando film sempre più assurdi, fino a questo, visto al festival di Venezia, con Ben Affleck e la sua bellissima fidanzata, totalmente inespressivi che dicono che l’amore è bello, poi è brutto, poi è litigherello. E questo la prima ora. Poi arriva anche la nostrana showgirl Romina Mondello, a fare un monologo sull’amare noi stessi. In giro leggerete meraviglie, per quel che riguarda chi vi scrive, mai vista una porcheria simile in anni di cinema. Con la speranza di avervi incuriosito, un film va sempre provato. Non è invisibile, è uscito in sala, ma non ce l’hanno tutti i cinema.

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