In memoria di Lou Reed, anche al cinema

Dark SkiesOscure presenze (Scott Stewart, 2013)
Periferia americana, famigliola apparentemente perfetta, due genitori e due figli, giovani e carini. In realtà il marito è alla disperata ricerca di un lavoro e la situazione familiare, pur non degenerando, è certamente irrequieta. Nulla a confronto di quel che succederà, a partire da quella cucina messa a soqquadro durante la notte. Oscure presenze, come dice il sottotitolo, demoniache possessioni, o incontri ravvicinati del terzo tipo? Il padre di famiglia cerca di scoprirlo gestendo un sistema di telecamere, espediente che mostra e dimostra la provenienza della produzione del film, quel Paranormal Activity che tanto ha influenzato la cinematografia di genere. Si parlava la settimana scorsa, a proposito di Nightmare, quali fossero i modelli, i capisaldi del terrore. Dark Skies contiene però molti elementi a sfavore della paura, o per lo meno, dell’appassionato di paura. 1. Gli effetti sonori: vogliamo gridare basta agli sbalzi di volume nei momenti topici e cercare di spaventare davvero senza fare “bu!”? 2. I volti degli attori e la loro recitazione: Keri Russell (ricordate il telefilm Felicity?) non è male, ma la famiglia americana è troppo patinata per il genere, troppo finta, tale quasi da suscitare tifo per i nemici. 3. I problemi reali: lui è disoccupato ma ama lei che ama lui che è preoccupata… gli americani sono molto più bravi nel descrivere le famiglie quando sono scorretti e non vogliono creare modelli. Quindi Dark Skies non fa paura? Non molto, sembra, ma anche questo è soggettivo, mentre di consolidato c’è una regia valida, una storia inverosimile ma coerente, e soprattutto una scena finale che omaggia Shining a piene mani, suscitando finalmente incubi e tensione. Un horror che paradossalmente piacerà più a chi non è appassionato, un film incredibilmente stereotipato, tale da poter essere sinceramente apprezzato. Ingredienti scaduti non ce ne sono.

Lou Reed e il cinema
La scomparsa di Lou Reed è un fatto epocale, nel senso che non si deve certo spiegare in questa rubrica che sia uno dei 3-4 più grandi di tutti i tempi e uno dei pochi rimasti vivi e in attività. Il rapporto di Reed col cinema non è paragonabile ad altre star, Tom Waits tra tutti, e probabilmente la scomparsa sarà occasione di produzione (speriamo non sciacallaggio) cinematografica. La partecipazione più importante e qua ricordata è in Blue in the Face (1995) di Wayne Wang e dell’amico Paul Auster, del quale nel 1998 parteciperà a un altro, Lulù on the Bridge. Film gemello di Smoke, più simile a una chiacchierata tra amici in stile Jarmush (che infatti è presente), sullo smettere di fumare. Conversazione che vede Lou Reed nei panni de “l’uomo con gli occhiali strani”. Sempre a proposito di sequel o finti tali, lo ritroviamo in Così lontano, così vicino di Wenders, seguito de Il cielo sopra Berlino, nei panni di se stesso. Partecipazioni amichevoli, che frutteranno al film anche il prezioso contributo musicale dell’artista, nella colonna sonora. Nel 2007 il pittore e regista Julian Schnabel firma la dedica più consistente al genio del musicista con  Lou Reed’s Berlin, filmando il concerto dove per la prima volta veniva suonato interamente uno dei suoi capolavori più controversi, il mitico album Berlin del 1973. Nessun backstage, nessuna intervista, solo musica, solo genio, solo Lou Reed.

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
CGIL BILLB REFERENDUM 09 – 16 05 24
CONSAR BILLB 02 – 12 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24