L’affascinante No di Larrain e lo spettatore diventa tifoso

NO – I giorni della verità, di Pablo Larrain (2012)
Nel 1988, a 15 anni dal sanguinoso colpo di stato, le comunità internazionali, con in testa quegli stessi Stati Uniti che il golpe l’avevano finanziato, spingono il dittatore Pinochet a indire un referendum per chiedere al popolo cileno se continuare a esercitare il suo potere per altri otto anni. Sempre grazie alle pressioni, per la prima volta dall’inizio della dittatura entrambi gli schieramenti avranno uno spazio televisivo di 15 minuti ciascuno per la propria propaganda. Il fronte per il NO (no a Pinochet, sì alla democrazia) cerca di mobilitarsi pur con scarsa convinzione, finché non viene coinvolto un giovane pubblicitario, René Saavedra, figlio di un partigiano ma politicamente distaccato, che rivoluzionerà il modo di fare campagna elettorale, spostando l’asse sul concetto democrazia = allegria. Dopo questa lunga, doverosa e si spera superflua introduzione storica, si può finalmente parlare del film, il cui finale è contenuto in tutti i cosiddetti “libri di storia”. Larrain è un regista emergente, già noto ai cinefili più attenti per due film più che interessanti quali Tony Manero e Post Mortem, entrambi apprezzati nei più famosi festival europei. Larrain, figlio di conservatori, non è nuovo nel parlare del grave dramma che il suo paese ha passato negli anni settanta/ottanta, nel mostrarlo e nel gridarlo a un’opinione mondiale che pensava solo a quanto erano cattivi i russi. Con No, con inutile sottotitolo italiano (ma forse c’è un limite minimo alla lunghezza dei titoli, qui da noi), il regista affronta di petto, con stile e con sentimento il momento più importante della storia recente del Cile. Oltre alla grande partecipazione ideologica ed emotiva, Larrain mette molto dentro cinema, rendendo il suo film un’opera non leggera, ma affascinante, didascalica e sinceramente emozionante. Siamo nel 1988 e la storia è spesso intervallata da filmati d’epoca e spot pubblicitari originali; per creare un’opera compatta, lo stile adottato risulta lo stesso, con un aspect ratio di 4/3 (per dirla semplice, il film è quadrato, come una volta, per essere visionato in tv quadrate) e con uno piglio documentaristico che per estetica, scenografia e colori rimanda in modo perfetto al periodo narrato. Il film è lungo, quasi due ore, e certi momenti nel mezzo possono risultare pesanti, ma la vicenda e il trasporto emotivo, apparentemente celato, riescono a trasformare lo spettatore in un tifoso. Immagini, canzoni e slogan fanno da sfondo all’allegra brigata del No, che vede a capo un bravissimo Gael Garcia Bernal nel ruolo del protagonista, e un altrettanto bravo (segnatevi questo nome) Alfredo Castro nel ruolo dell’antagonista.

Il cinema che legge la politica
Se No è un film che parla di una stagione politica passata, il cinema italiano è bravissimo, e a volte veggente, nel realizzare anzitempo film che col passare degli anni tornano di stretta attualità. Colpo di stato di Luciano Salce, film molto invisibile già trattato in queste righe, è un film attualissimo, visto che parla della completa impreparazione del Partito Comunista alla vittoria elettorale. Ora, paragonare il Pci al Pd è un’offesa alla memoria storica di chi ha vissuto certe lotte, ma il meccanismo di impotenza di certe forze politiche appare, con gli anni, piuttosto simile. Pur non invisibile, pur visto da molti, è impossibile in questi giorni non consigliare a quei pochi che non l’anno visto, Il divo di Paolo Sorrentino. Un film straordinario, da qualsiasi punto di vista lo si guardi.

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