Lei di Spike Jonze, un film volutamente radicale e radical (chic)

Lei (di Spike Jonze, 2013).
Theodore ha da poco divorziato e non vive bene la propria solitudine, ossessionato da ricordi dolorosi e ricorrenti. Lo distrae soltanto il lavoro, che consiste nello scrivere lettere d’amore e affetto per conto di altre persone; un lavoro frutto della sua grande passione per la tecnologia, che gli porta ad avere in casa un sistema di videogame 3D e la consuetudine delle chat erotiche. Un giorno Theodore viene a sapere del lancio un nuovo sistema operativo estremamente interattivo, che decide di provare. In breve tempo nascerà un legame incredibile. Letta così, risulta difficile non considerare ridicola la trama, ma Spike Jonze è un personaggio che già da tanti anni ci ha abituato a film totalmente surreali, onirici, metaforici ai limiti dell’assurdo. Non potete dimenticare Essere John Malkovich e il più recente Nel paese delle terre selvagge, film che sposano appieno le stesse caratteristiche presenti in Lei, e marchio di fabbrica dell’eclettico regista statunitense, che ha per anni dominato il mondo dei videoclip, realizzato alcuni capolavori come “Sabotage” dei Beastie Boys o “Praise You” di Fat Boy Slim. Insomma, il ragazzo ci sa fare sia con la macchina da presa, sia con il materiale pericolosissimo che produce in fase di scrittura (sua anche la sceneggiatura, premio Oscar). Lei è un film da prendere o lasciare, non offre né concede vie di mezzo, e fin da subito ci fa capire che la dicitura commedia sia certamente generica, anche perchè di allegro ha ben poco. Lo sviluppo del film dipende totalmente dall’empatia tra il protagonista (Joaquin Phoenix, molto bene) e “lei” (nell’originale con la voce di Scarlett Johansson, tra l’altro), e non esce dal suo spirito per tutte le due ore (tantine) di durata. Un film che vuole, senza nasconderlo, essere metafora non solo di solitudine e di approcci da nuovo millennio, ma che scava anche nelle radici e nelle intimità di amori perduti, trovati o cercati. Un film volutamente radicale e radical (chic), che vuole ostentare il suo essere cultura moderna e che per fortuna ci riesce: aiutano in questo senso le belle musiche degli Arcade Fire e l’aspetto estetico dato da fotografia e scenografia. Un rischio, un oggetto molto fragile e pretenzioso, che è riuscito a reggere l’urto del grande schermo e di queste scettiche pagine. Un film che piace molto alla critica e un po’ meno alla gente comune, che oltre l’Oscar e il Golden Globe per la migliore sceneggiatura, si è portato a casa molti premi dal Festival di Roma. Ma forse il premio più adatto gli è stato assegnato al Saturn Award, che lo ha insignito del titolo di Miglior Film Fantasy, perchè se non ci si cala in un mondo fantasy, non si accettano le pesanti regole del gioco, non si abbandona un’idea di realtà non in divenire, si rischia di pensare come Fantozzi sulla Corazzata Potemkin.

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