“lie to me”, il poliziesco filtrato dalla semiotica

Tim Roth è uno dei più grandi attori di tutti i tempi. Solo chi è dentro lo star system saprà perchè per anni è rimasto fuori dal giro del grande cinema. Forse è intrattabile, forse ha troppi vizi, forse picchia i registi sul set… chissà. Di solito a resuscitare la fama di un attore ci pensano o Quentin Tarantino o un serial di successo.
Lie To Me ha restituito al pubblico di appassionati un grande Tim Roth, che nei panni dello psicologo Cal Lightman riesce abilmente a capire se un soggetto possa mentire (da qui il titolo, “mentimi”) o anche solo celare una verità, attraverso l’analisi delle espressioni facciali. Naturalmente non sono le mamme preoccupate a chiamare in causa Lightman, ma FBI, Polizia e anche il Dipartimento della Difesa. Per dimostrare la verosimiglianza del lavoro degli psicologi, il telefilm fa continui parallelismi tra le espressioni dei personaggi studiati con quelle di alcuni politici americani, ritratti nelle stesse pose ed espressioni. Non tutti sono volti noti al pubblico italiano, ma quando appaiono sullo schermo Bush, Clinton, Nixon e altri protagonisti della scena americana, certamente lo spettatore viene maggiormente coinvolto e si sente dentro una sorta di analisi reale e riconoscibile. La completa vicenda, tra l’altro, è realmente ispirata agli studi di uno psicologo, Paul Ekman, esperto di studio del comportamento umano.

Il telefilm, giunto alla seconda stagione negli Stati Uniti, non ha sfondato in Italia: trasmesso solo sul satellite e poco pubblicizzato, è ancora una volta il magnifico mondo di internet a diffonderne la qualità e la fama. Rispetto a serie poliziesche come 24 (i produttori sono gli stessi), in cui ogni puntata fa parte di un puzzle gigantesco e di una trama unica, in questo telefilm ogni puntata è autoconclusiva. La struttura di ogni episodio è composta da un paio di indagini del Lightman Group. Anche in Lie To Me esiste un sottile filo narrativo che accompagna le vite e le storie dei protagonisti, raccontando della loro vita privata e del loro rapporto con la famiglia. Anche sotto questo aspetto è Cal il protagonista indiscusso: ha recentemente divorziato con la moglie (l’ex flashdancer Jennifer Beals) e si deve occupare di una figlia in piena età adolescenziale. Inoltre, la sua socia è una bella e interessante collega. La dinamica (e anche il successo) di ogni puntata è totalmente legata alla completa immedesimazione tra protagonista e personaggio: “Cal Roth Lightman” è il motore, il cuore e il cervello della vicenda, quando c’è lui tutto gira al massimo, quando lui è fuori scena si assiste a un normalissimo telefilm.

Il cast principale comprende altri tre personaggi, interpretati da attori volutamente lontani del calibro di Roth, che svolgono ottimamente il ruolo di gregari: da segnalare il “giovane, carino e ribelle” Brendan Hines, che nella vita oltre a recitare fa il cantautore. Concludendo, non è facile trovare nel 2010 una serie originale, avvincente, verosimile e così ben recitata (prediligete la lingua originale, grazie): Lie To Me è un gioiello che rischia di passare ingiustamente inosservato, se non grazie al passaparola degli appassionati. Che non mentono mai.

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
CONSAR BILLB 02 – 12 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24