L’insostenibile leggerezza del remake horror

Nell’attesa che il vostro recensore venga costretto dalla redazione a sorbirsi oltre due ore di Grande Gatsby con Di Caprio, e il consiglio è di non svegliare il critico che dorme, preme ricordare su queste pagine il perchè di una vendetta cinematografica in atto. Dall’inizio di questo secolo, e col passare di pochi anni sempre più velocemente, si è assistito al retroattivo omicidio di un genere cinematografico a opera di un singolo oggettino. Il genere è l’horror e l’oggetto è il telefono cellulare, che ne ha vanificato anni e anni di splendore. Immaginate la moglie di Jack Nicholson in Shining con un telefono, tenendo conto che senza campo quell’incarico non l’avrebbero accettato. Oppure tutte le volte che si è aperta quella porta, si sarebbe salvata qualche vita; inoltre con tutte le invasioni di zombi, avremmo almeno modo di organizzarci e al massimo di farci mangiare tutti uniti. Il cinema horror, gonfio e orgoglioso, ha già da qualche anno intrapreso un’azione offensiva di tutto rispetto, rispondendo a colpi di… remake! Iniziamo dalla fine, dalla fine dell’anno, quando vedrà la luce l’atteso (?) remake di Carrie di Brian De Palma, per la regia di Kimberly Peirce (Boys Don’t Cry) e con Julianne Moore, passando per il prossimo remake di un oggetto ben più sconosciuto dello stesso periodo (Maniac), in uscita non si sa quando. Torniamo però ai giorni d’oggi, quando un cult di inizio anni novanta che spiccava per l’apparente amatorialità della produzione e il bassissimo budget utilizzato, dava una bella sferzata al genere e lanciò un regista. La casa di Sam Raimi è uscito nel 1981 e più di trent’anni dopo ci troviamo di fronte a un rifacimento che somiglia più a un nuovo capitolo rivisitato della saga stessa (che continuò con il sequel e con L’armata delle tenebre), e che si presenta molto diverso dal “padre”. Il film di Raimi faceva ridere, era davvero autoironico e divertente e fu tra i primi a introdurre il sorriso nel genere (primato che spetta a Pupi Avati, con Tutti defunti tranne i morti, da recuperare), mentre il film di Fede Alvarez, prodotto da Raimi e dal protagonista di allora Bruce Campbell, mette in scena un registro diverso. Cambia il protagonista (Ash mito irripetibile), e mette da parte il divertimento per presentarsi come vero e proprio horror, cupo e spietato, risultando un buon prodotto di genere, senza avere assolutamente ambizioni di culto se non nel momento dell’omaggio finale. In questi anni i rifacimenti sono stati tanti, troppi e sono diventati quasi una consuetudine per il genere: La cosa di Matthijs van Heijningen aveva il pregio di porsi come prequel, ricalcando la meravigliosa ambientazione antartica e, pur senza toccare le vette del film di Carpenter (a sua volta un remake), riusciva a trovare il suo posto nella saga. Bravo anche Rob Zombie: il suo recente Le streghe di Salem non è un remake, ma è comunque ispirato ad altri horror, mentre i suoi due “nuovi” Halloween sono due ottimi film. Stessa sorte è toccata a Nightmare (male), Non aprite quella porta (uno inutile nel 2003, uno inutile in 3D a inizio anno!), Venerdì 13 (male come l’originale) e non tutti sanno che anche il sommo Shining vide una terribile rivisitazione televisiva (1997) da parte dello scrittore Stephen King, offeso dal trattamento di Kubrick… un po’ come se uno sgorbio trasformato in Brad Pitt si lamentasse della nuova estetica. E il telefonino? Ecco, quello tenetelo spento, in sala. Buona visione.

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