L’occasione sprecata di Belvaux e il Nanni Moretti “rinviato”

Sarà il mio tipo? (di Lucas Belvaux, 2014)
Un giovane parigino professore di filosofia single, nonché scrittore, viene confinato a insegnare in provincia per un anno; nella cittadina di Arras incontra una parrucchiera con la passione per il karaoke, amante dei film con Jennifer Aniston, single e con un figlio a carico. Nonostante le barriere sociali ma soprattutto gli interessi diversi, tra i due nascerà una bella storia che ovviamente è destinata ad avere non pochi problemi. Si dice che questo sia un film “più bello del titolo”, e questo è lapalissiano, anche se neppure il titolo originale Pas son genre è poi così geniale. Fatto quindi tesoro del fatto che questo film resterà senza nome, si può parlare tranquillamente di una storia a due facce. Nella prima parte si entra nel campo della brillante commedia degli equivoci, caratterizzata dalle differenze tra i protagonisti; nella seconda si esce decisamente da questo terreno e si entra in una drammaticità più complessa ed estremamente introversa legata alla difficoltà della protagonista femminile di accettare una storia in cui non può sentire la sicurezza sentimentale che pretende. E questa “lei” è interpretata da un gradito ritorno al cinema: Emile Dequenne fu scoperta 15 anni fa dai fratelli Dardenne che le diedero da esordiente il ruolo di Rosetta; ora la ragazzina è diventata donna e l’attrice è matura, anche se l’ossessione tutta francese per una recitazione continua nel campo visivo della macchina da presa, la rende un tantino straripante. Un film certamente molto “francese”, caratterizzato da dialoghi continui e vite raccontate in un bar (davanti a una Perrier, magari), piuttosto che vissute. Il film soffre della duplice anima: se il regista avesse continuato a percorrere la via della commedia degli equivoci, avrebbe finito per stancare presto; la svolta nel dramma (in senso cinematografico, perché qua tranquilli non muore nessuno) non convince e spiazza per primo il regista stesso, che presto perde il ritmo e la bussola narrativi, finendo per portare l’occhio dello spettatore troppo spesso all’orologio. Interessante il finale, ma troppi minuti sono passati in sospeso, perché l’attenzione e l’interesse restino gli stessi di inizio film. Per chi scrive, un’occasione sprecata. Ma, oltre a essere preferibile al suo titolo, molti di voi lo troveranno anche migliore di questa recensione, quindi attenzione.
Otto motivi del perchè non trovate qui invece la recensione di Mia madre di Nanni Moretti, in ordine crescente di importanza. 8) non tutti sono disposti a sopportare il Nanni post-Diario; 7) dopo i 40 anni il numero di chi va al cinema a soffrire consapevole diminuisce sensibilmente; 6) perché, probabilmente, è bellissimo; 5) perché, probabilmente, non è così bello; 4) perché forse vincerà Cannes in tempi ancor più magri per le sale italiane e chi vi scrive se lo tiene in caldo per tempi propizi; 3) per radicalismo chic nei confronti di un autore radical chic; 2) perché teme che Margherita Buy… anzi, perché teme Margherita Buy e basta; 1) perché Nanni Moretti ha un suo pubblico ben definito, e l’autore di questa piccola e preziosa rubrica preferisce ergersi a paladino di film dalla distribuzione più debole e ritiene inutile parlare di un film che tutti coloro che lo vogliono vedere lo vedranno; il recensore vuole catechizzare, il critico è presuntuoso. Buon Primo Maggio.

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