Mia madre: anche se ci si annoia, è pur sempre un film vero

Cannes chiama, R&D risponde. Acclamato per l’ennesima volta al più prestigioso festival europeo (e forse mondiale), papabile sia di vittoria che di ritorno in sala, non si poteva non concedere al film di Nanni Moretti una degna recensione. Nel film, Margherita (Buy), è una regista che sta girando un film sulla crisi economica e che si ritrova nel cast un bizzoso e decaduto attore italo americano (sua maestà John Turturro); nel frattempo la sua vita subisce il dramma di sua madre (la straordinaria attrice teatrale Giulia Lazzarini, semi debuttante col botto nel cinema!), che sta morendo. Fortunatamente trova nel fratello in aspettativa (il Nanni nazionale, non protagonista) un grande aiuto logistico e morale nel fronteggiare il dramma. Non è un film semplice, Mia madre, ma è certamente un film manifesto della seconda parte della carriera di Moretti, iniziata non a caso con un altro dramma, come La stanza del figlio (che tra l’altro vinse Cannes…). Il regista si è da tempo tolto le vesti del suo alter ego Michele Apicella, ha spesso lasciato l’ironia in secondo piano in favore del dramma, ma non ha smesso di identificarsi coi suoi protagonisti. La novità è che il suo “alter” in questo caso è una donna, ben inquadrata da Margherita Buy, omonima non casuale della protagonista. Perchè Nanni/Margherita non è solo persona di cinema, ma contiene tutte le nevrosi e insicurezze di chi l’ha disegnato. E Moretti attore abbandona invece Moretti regista per ritagliarsi un ruolo piccolo ma importante, incentrato su un minimalismo recitativo e caratteriale comunque in tono con gli ultimi lavori. I due attori formano così con la straordinaria madre di Giulia Lazzarini una sorta di triangolo del dolore, ben circoscritto e addirittura di difficile e impermeabile impatto emotivo; nel film è paradossalmente più facile sorridere che piangere, anche se l’alta drammaticità che aleggia come una spada di Damocle non sparisce e non colpisce neanche per un minuto. E i sorrisi sono tutti legati alle scene del film nel film, all’istrionismo a dire il vero un po’ troppo marcato del grande Turturro, che pur coi suoi eccessi incarna  lo stereotipo dell’italo-americano tornato nel bel paese per divertirsi col minimo sforzo. Mia madre è un film che emoziona poco, perché è freddo nella messa in scena, nei dialoghi e nella sceneggiatura stessa, e forse la scelta è vincente perché giocare sul dolore, seppure con onestà, non è così piacevole, né forse nobile. La televisione “insegna” e regna. Se non a caso, non state notando alcun giudizio sul film, il motivo è molteplice. Nanni Moretti da tempo non è più nelle corde di chi scrive, e tutta la produzione del post Apicella non ha mai colpito particolarmente; e neanche i film più ironici degli ultimi anni hanno particolarmente preso. Però non può certo passare inosservata la complessità di un film come questo, più riuscito de La stanza del figlio e più incisivo di papi e caimani. Non per la storia, non per i personaggi, non per gli attori: per una volta è proprio la messa in scena, il “come” si racconta e le scelte del regista a dargli una sua dignità. Anche se ci si annoia, anche se non si vuole rivedere, è pur sempre un film vero. Ps: che recensione orrendamente morettiana.

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