Monsters, un piccolo, grande film di fantascienza per un romantico ritratto della condizione umana

Monsters, di Gareth Edwards  (2010)
Uscito in sordina nelle sale italiane, ma ben noto agli appassionati fin dallo scorso anno, Monsters è un piccolo grande film di fantascienza. Piccolo perché scritto e girato davvero in economia dal talentuoso esordiente Edwards: con una troupe di sette elementi, in luoghi angusti e a volte proibiti, in sole tre settimane e con effetti speciali creati da lui stesso al computer. Grande perché da una vicenda semplice e poco originale, ne trae un teso, drammatico e romantico ritratto della condizione umana. Senza entrare nei particolari, il film parla di un’invasione aliena, e di una zona che il governo americano ha messo in quarantena perché infetta da questi mostri, che pare distruggano e uccidano tutto ciò che si presenta loro davanti. Un reporter accetta di portare dal Messico agli Stati Uniti la figlia di un potente editore, e quindi di attraversare questa zona. Chi pensa ad azione e distruzione, ha sbagliato film: i mostri restano quasi sempre come sfondo, e nel momento in cui diventano protagonisti, accadono cose molto strane. O, forse, non così strane. Al centro dell’attenzione, ancora una volta, l’uomo, in tutte le sue possibili facce che tutti conosciamo, dalla più orribile alla più solidale. Un modo non del tutto nuovo (vedi sotto) di intendere la fantascienza come sfondo sociale per un’analisi approfondita della condizione umana. Giustamente considerato oggetto di culto, anche in Italia in quanto invisibile, ora come non mai merita la visione cinematografica, se lo trovate ancora. Infine, volendo fare i metaforici, questo Monsters rappresenta un film di resistenza all’invasione aliena (al vero cinema) di tutti i panettoni che porteranno anzitempo via questo piccolo e delizioso film dalle sale. Non demordete, e scovatelo!

District 9, di Neill Blomkamp  (2009)
Come in Monsters (anche se dovrebbe essere il contrario, viste le date d’uscita), si parla di alieni, giunti fondamentalmente da noi per caso, che non appena vengono scoperti, vengono ghettizzati e rinchiusi da fortificazioni tali da rendere il più totale possibile l’isolamento. Anche se entrambi i film sono ambientati in un periodo successivo all’arrivo alieno sulla terra (10 anni qui, 6 anni nell’altro), in District 9 si punta (maggiormente) sulla metafora del diverso: questi alieni sono pacifici, malconci, denutriti, e hanno come unico desiderio quello di tornare a casa, visto che si sono semplicemente persi nello spazio. Facile, ma è così, considerare gli alieni come immigrati. La scelta registica è ancora più estrema che in Monsters: all’uso quasi esclusivo della camera a mano e di primi piani, si aggiunge un taglio fortemente documentaristico che, se non fosse per il tema trattato, indurrebbe lo spettatore a considerare il film come un reportage di vita reale. È sotto quest’ala che il film assume la sua straordinarietà: una metafora, come detto, che colpisce al cuore lo spettatore e lo fa solo nel momento in cui ci si siede, si spengono le luci, e si inizia a guardare il film. Perché raccontato così, e sperando che non sia colpa di chi scrive, non trasmette neanche un quarto dell’emotività che il film possiede. E il bravissimo esordiente Blomkamp le prova tutte: camere professionali, amatoriali, e telefonini, per farci vedere una cosa talmente assurda da chiamarla realtà. Produzione neozelandese, regista sudafricano e realizzazione americana, più cosmopolita di così! Non un invisibile, ma neanche un gran successo qua. Facilmente reperibile in videoteca.

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
CONSAR BILLB 02 – 12 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24