Pollo alle prugne, una miscela perfetta di generi ed emozioni

Pollo alle prugne, di Vincent Paronnaud e Marjane Satrapi (2011)
Teheran, 1958. Il violinista Nasser non riesce a sostituire il suo strumento prediletto, che è stato accidentalmente rotto dalla moglie, e cade in depressione. Nella sua ultima settimana di vita, si capirà il perché di questo suo stato grazie a una narrazione straordinaria, surreale (il modello, dichiarato, è Amelie), con montaggio atemporale (e qui siamo dalle parti di Tarantino e la Rapina a mano armata di Kubrick) e con una vena poetica (Burton, ma anche Fellini) favolistica, surreale ed emozionante. Citati i maestri, parliamo del film, il primo con attori in carne e ossa della coppia Paronnaud-Satrapi dopo il delizioso cartone animato Persepolis. Un film ambientato in Iran, che di persiano ha ben poco, se non in ambientazione e trama, ma non certamente nella sua messa in scena; un film che, dopo una prima parte un po’ confusa, ricompone perfettamente il puzzle sparso sul tavolo, riuscendo a fine dei suoi novanta minuti a risultare una miscela perfetta di generi ed emozioni, provocando nel giro di pochi minuti sensazioni totalmente opposte nello spettatore: insomma, si ride e si piange con un’alternanza sorprendente. Favolistico, certo, ma senza nasconderlo; citazionista, certo, ma senza alcun pudore o vergogna; nel suo complesso neanche così originale, ma irresistibile. Il protagonista Mathieu Almaric è bravissimo, ma la palma personale va alla nostra Chiara Mastroianni, in un piccolo, esilarante e geniale ruolo. Forse non piacerà a tutti, ma un’occhiata vale pur sempre la pena.

Whore’s Glory, di Michael Glawogger (2011)
Documentario sulla prostituzione, vista in tre bordelli di tre paesi diversi, Thailandia, Bangladesh e Messico, presentati in rigoroso ordine di crescente degrado. Il titolo parla chiaro visto che, tradotto letteralmente, significa “la gloria delle prostitute”. L’austriaco Glawogger, dopo il bellissimo e durissimo Workingman’s Death, resta sullo stesso tema: se nel primo si parlava di lavori di fatica, quello della prostituzione è, ahinoi, pur sempre un mestiere. E il regista focalizza, con realismo e cinismo, sulle pessime condizioni in cui queste vittime devono svolgere i loro “doveri”. Tornando a Whore’s Glory, sulle note di una colonna sonora eccezionale (c’è la grande PJ Harvey ma anche tanto altro), la telecamera entra in queste realtà attraverso i volti e le voci, con sobrietà e lasciando completamente il campo alle protagoniste, le cui opinioni risultano forti e spiazzanti. Quello che succede a loro fa parte del quotidiano, come se noi raccontassimo la nostra giornata, che parte dal cappuccino, passa per il lavoro e finisce dopo la cena; mostrare come normale una realtà così squallida è il punto di forza del film, perché arriva direttamente allo spettatore senza bisogno di passare per drammi o lacrime, o scene di violenza realmente crude. Le inevitabili (ma mai gratuite) scene di sesso e i continui riferimenti religiosi disturbano e fanno riflettere, e probabilmente bloccano una distribuzione che difficilmente vedrà la luce da noi. Un invisibile che però diventerà visibile, domenica 15 aprile, quando sarà proiettato al Mosaico d’Europa Film Festival.

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