prosegue il report dal lido tra mattoni e qualche gioiello

Ancora film dal festival del cinema di Venezia, sempre col regista tra parentesi. 13 Assassins (Takashi Miike) (ci sarebbe anche un titolo in giapponese impronunciabile). Tradizionale e ben fatto film sui samurai, senza particolari guizzi né sul fronte violenza né sul fronte ironia, elementi spesso presenti nella fotografia dell’ormai convenzionale regista giapponese. Ovviamente in sala il pubblico molto orientale applaudiva a ogni battuta (non comica) del film. Resta una gran bella battaglia di mezz’ora e la voglia di far firmare a Miike un film dei Vanzina e vedere quei polli in sala dei giornalisti applaudire estasiati. 6,5.
Martha (Marcelino Islas Hernandez). Martha è una signora che dovrebbe da anni essere in pensione, ma continua misteriosamente a lavorare (e fumare); un giorno viene inevitabilmente sostituita da una giovane e un computer. Film presentato come drammatico ma divertente, Martha ha battuto un record al Lido: è riuscito a sfracellare ogni parte del corpo come un film da tre ore, pur durandone poco più di una. Da utilizzare come prototipo per i prossimi Fantozzi. 3.
Attenberg (Athina Racgek Tsangari). Una ragazza che odia un’umanità che non conosce, che ama il padre morente e si fa dare lezioni di sesso da un’amica, incontra un ragazzo. Trama banale per un film però interessante e non convenzionale, sicuramente noioso (marchio di fabbrica dei film in concorso) ma troppo attento al lato erotico della vicenda (fortunatamente la protagonista non è male). A conti fatti, più che mostrarci che in Grecia stanno davvero male, dice poco altro. 5,5.
Road To Nowhere (Monte Hellman). Film nel film, in puro stile visionario alla David Lynch e girato da un regista che torna a fare cinema dopo vent’anni. Storia ostica: un regista cult realizza un film basato su una storia vera che vede una donna al centro della vicenda, interpretata da una bellissima (davvero!) attrice per la quale il regista stesso perderà la testa e il senso del film. Purtroppo quest’ultimo lo perde anche lo spettore senza poter neanche interagire con la protagonista. Affascinante ma caotico, il film resta un’occasione sprecata per i troppi momenti di noia e narcisismo dell’ormai lesso Hellman. 6.
20 sigarette (Aureliano Amadei). Autobiografico, uno dei film che hanno fatto più discutere: un regista, anarchico e pacifista, parte per girare un documentario sulla guerra in Iraq e in particolare sulla situazione a Nasiryya. Dopo pochi giorni, il terribile attentato di cui tutti sappiamo. L’operazione è onesta e merita rispetto, ma il film è sinceramente poco bello: messa in scena come un finto documentario che promette di raccontare finalmente la guerra, il film non dice nulla se non dalle parole del regista, che ci “insegna” che la guerra è terribile (lo sapevamo), che i soldati defunti che ha conosciuto erano dei bravi ragazzi (non dubitiamo) e che non tutto ci viene raccontato (non dubitiamo neanche qui). 5.
Drei (Tom Tykwer). Triangolo amoroso tra due coniugi che inconsapevolmente si tradiscono a vicenda con la stessa persona, un uomo. È tradizione paragonare tutti i film tedeschi brutti a L’ispettore Derrick. Qua non c’è nessun omicidio, nessun ispettore e manco un impermeabile. Eppure il paragone calza. Pensate quindi quant’è brutto questo film! 4.
Fine della terza e penultima parte.

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