Quando la confezione è meglio del contenuto

American Hustle (David O. Russell, 2013)
Scusate il ritardo, è uscito da un po’, ma la scarsa voglia di vedere certi film, come scritto la settimana precedente, stimola il desiderio di recuperare quanto si è perso in questo 2014 ricco di idee e proposte. Va premesso che chi vi scrive con David O. Russell ha già avuto qualche problemino con Il lato positivo e Amori e disastri; insomma il buon David così tanto “buon” non sembra proprio. Per questo film il regista gioca sul sicuro grazie a un grandissimo attore quale Christian Bale, che dal magrissimo uomo senza sonno qui sfoggia un panzone che fa tanto anni ’70, periodo in cui è ambientata la vicenda, molto liberamente tratta da una storia vera. Truffe e controtruffe, ahinoi, sono un tema piuttosto ricorrente nella cinematografia a stelle e strisce e creare qualcosa di nuovo è davvero difficile. American Hustle, infatti, non rappresenta nulla di nuovo, è un film simpatico, furbo e abilmente costruito, grazie come detto al cast, alla musica e all’ambientazione. Ma focalizzando bene, mi rendo conto di essere di fronte a un film di personaggi. Se la parabola del protagonista, senza svelare troppi elementi, appare chiara e scontata fin dall’inizio (ma ben interpretata), la storia punta decisamente l’attenzione sui personaggi femminili, e sulle sorprese che scaturiscono da questi; personaggi però in linea di massima banali e caratterizzati con troppa sufficienza, traditi per l’ennesima volta da un doppiaggio penalizzante, sia per loro che per il film, che soffre anche di una lunghezza eccessiva, e che trova un’incoerente e frettolosa accelerazione nel finale. Concludendo, presentazione impeccabile, attori interessanti, personaggi simpatici, battute, musiche e la solita sensazione che la confezione sia meglio del contenuto: un film di David O. Russell.

Come il vento (di Marco Simon Puccioni, 2013)
Ci sono film italiani che fanno venire voglia di esterofilia a chi esterofilo non è, e sono spesso quelli che si vedono al cinema. C’è una cinematografia invisibile che rivela quanti bravi autori abbia invece la nostra controversa penisola, se solo qualcuno li distribuisse. E se non fosse per le rassegne (il film è in programmazione martedì 4 marzo in proiezione unica al City), non li troveremmo da nessuna parte. La storia (vera) di una direttrice di carcere, che perde la persona amata e che vive continuamente tra criminali e mafiosi del nostro tempo, è raccontata in maniera asciutta e molto lontana dalle suggestioni televisive della fiction. Già il cast dice la sua: Valeria Golino è da tempo una certezza, e l’accoppiata maschile Filippo Timi – Marcello Mazzarella (ricordate Placido Rizzotto?) non è da meno. Naturalmente non siamo ai livelli del classico Brubaker, con Robert Redford, ma davanti a un dramma costruito e girato molto bene, a un film che inspiegabilmente (o forse chiaramente) deve cedere il passo ai comici (comici?) nostrani, così che la realtà mostrata dal cinema deve per forza dare la precedenza alle barzellette da bar. Questa è l’Italia, ma voi potete migliorarla: recuperatelo.

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