Quel brutto titolo per un film sorprendente e irresistibile

Quel fantastico peggior anno della mia vita (di Alfonso Gomez-Rejon, 2015)
La faccenda della traduzione titoli in italiano sta diventando seria. Bisogna fermare la distribuzione italiana, o per lo meno la loro “creatività” in fatto di titoli. Perchè si confondono le idee allo spettatore e si rischia di mandare direttamente all’oblio film bellissimi come questo, che hanno un titolo originale, non sono semplici da adattare, ma che non vanno mortificati. Me And Earl & The Dying Girl non solo è semplice da tradurre (Io, Earl e la ragazza morente), ma carico di significati e da solo, magicamente, riassume tutto lo spirito del film. Certo, la vicenda copre un anno, e il “fantastico peggior” cerca goffamente di creare lo stesso contrasto tra dramma e ironia, ma direi che sia meglio parlare del film. “Io” è Greg, protagonista e narratore, che inizia scrivendo una lettera di cui solo il finale svelerà la natura; Greg è un ragazzo asociale che teme di legarsi alle persone, che si tratti amicizia o amore. Earl infatti è presentato non come amico ma come collega, perché i due nel tempo libero girano parodie di film, cambiandone il titolo. E qui il cinefilo trova il suo parco dei divertimenti, perché la gara di citazioni è appassionante, tanto che il sottoscritto azzarda che addirittura il titolo sia un omaggio a un altro gioiello indie di dieci anni fa, Me And You And Everyone We Know (in realtà è palese, ma non l’ho trovato scritto da nessuna parte) e che la narrazione con voce off e capitoli sia un omaggio al citato 500 giorni insieme. La ragazza morente è Rachel, a cui viene diagnosticata una grave forma di leucemia, e a cui Greg inizialmente fa visita perché costretto dalla madre. Il film è costruito all’insegna delle citazioni e anche lo stile rappresenta una via di mezzo tra il mondo di Wes Anderson e la nuova ondata di teen movie americani che solo in questa rubrica trovano adeguato spazio. Parlo di Noi siamo infinito (l’unico noto da noi), di The Spectacular Now, ma anche dei più sconosciuti e irresistibili Rocket Science e Jesus Henry Christ (qui recensiti). Ma è doveroso citare anche un film che non ho visto, Colpa delle stelle, che affronta lo stesso tema della malattia tra ragazzi. Il film è scandito dalla voce narrante, da capitoli molto ironicamente titolati, e soprattutto dalla musiche di Brian Eno, il cui primo e strepitoso album riecheggia per tutto il film, e da  eliziose animazioni in stop motion. Protagonisti bravissimi, soprattutto il mattatore Thomas Mann he prende il film sulle sue spalle, caratteristi (i genitori) divertenti e ironici, felice e appassionante la mano di Gomez-Rejon, sconosciuto assistente di regia prima d’ora. La storia è triste, lo stile è surreale e ironico, e il mix riesce a divertire e a commuovere. Certo, il film è furbetto e ruffiano, alcune scene sono costruite ad hoc per fare ridere e altre per commuovere decisamente, la teen comedy americana è spremuta che più non si può, ma il risultato è talmente piacevole e sorprendente da superare ogni suo ammiccamento, ogni suo difetto e soprattutto il suo titolo italiano. Per non dimenticare, non è così frequente che al Sundance Film Festival lo stesso film riceva il premio del pubblico e il gran premio della giuria. In uscita giovedì 3 nei cinema, con la speranza che diventi un piccolo cult per giovani e meno giovani. Fate girare, grazie.

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