Quel documentario su Messi: senza il declino è poco interessante

Messi (di Alex De La Iglesia, 2014)
L’ennesima annata d’oro del campionissimo Lionel “Leo” Messi ci dà spunto per parlare di un documentario che l’eclettico regista spagnolo Alex De La Iglesia ha realizzato sulla sua figura: un’accoppiata vincente? De La Iglesia, poco noto in Italia, ha realizzato alcune commedie nere in stile Almodovar, ma molto più spinte nel grottesco e nella violenza: le più note sono La comunidad e Crimen perfecto. La soddisfazione è arrivata nel 2010 con Ballata dell’odio e dell’amore, Leone d’Argento a Venezia. Messi non è un personaggio nero, né tantomeno horror, ha avuto un’infanzia con difficoltà legate soprattutto alla crescita fisica, ma non ci sono qui crimini o intrighi. Come affrontare, dunque una simile operazione? Messi è un esempio di idea sbagliata di fare cinema fin dall’inizio. I documentari sulle grandi star, in questo caso del calcio ma anche di altri ambiti, vengono tracciati come delle parabole “discendenti” (un matematico impenitente potrebbe correggere in “concave verso il basso”) e basate sul classico schema ascesa-apice-declino. Non ce ne vogliano i protagonisti, ma è spesso quest’ultimo a regalare poesia e umanità a figure considerate “extraterrestri”; Leo Messi ha quasi 28 anni (a fine mese), ha appena vinto una Champions League, un campionato, quattro Palloni d’Oro ed è, quindi, all’apice della sua carriera. Addirittura, potrebbe essere ancora in ascesa, visto che disputerà ancora almeno un Mondiale. Il film non può che descrivere solo una prima parte della carriera, in cui le gesta degli ultimi anni sono sotto gli occhi di tutti e non colpiscono (cinematograficamente) lo spettatore. Il regista ambienta il documentario in un ristorante, affidando il racconto cronologico delle imprese del suo protagonista a tavoli differenti: si va dai compagni d’infanzia, agli insegnanti, passando per i suoi primi allenatori, i successivi, per arrivare ai compagni di squadra Pique, Mascherano e Iniesta. Ci sono anche, in tavoli a parte, icone del calcio passato come Menotti, Cruijff e Valdano. Tutti intenti a bere del buon vino rosso (e ci mancherebbe altro, al ristorante) e a raccontare episodi o dare giudizi tecnici. L’atmosfera è indubbiamente simpatica, ma non riesce a sollevare un film interessante solo nella prima parte, quando viene narrata l’infanzia del campione, fortunatamente supportata da immagini amatoriali (siamo negli anni ‘90) che parlano da sole. Certamente i fans della Pulce (il suo soprannome) non resteranno delusi, ma tutti gli altri spettatori di calcio, uniti agli appassionati di documentari, non troveranno particolari motivi d’interesse, soprattutto per, come già detto, la scelta di un soggetto ancora incompleto e incompiuto.
Cinema estivo. La Rocca di Ravenna parte con Paolo Cevoli (vedi pagina a fianco); nei giorni successivi sarà la volta di Woody Allen e di Nanni Moretti, due mostri sacri che hanno convinto i critici, mentre sabato 13 verrà proposto Sarà il mio tipo, film recensito un mese fa senza troppo amore, ma che vale una visione. Anche l’Arena di Bagnacavallo gioca i suoi jolly: 12 e 13 Ken Loach, 14 e 15 Tutto può cambiare (recensito positivamente qui), 16 e 17 il candidato Oscar senza premi Foxcatcher. Buon inizio estate a tutti!

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