Quel film strombazzato tra “già visto” e buonismo

IL LATO POSITIVO- Silver Linings Playbook, di David O. Russell (2012)
Una poesia di Luis Milton recita che “dietro ogni nuvola c’è sempre un riflesso argenteo, uno spiraglio di luce”. Così il poetico titolo originale, adattato per noi ignoranti con un semplice messaggino buonista. Anche se, come vedremo, letto in chiave ironica è un titolo che ci può stare.
La storia, ovviamente d’amore, è tra un Bradley Cooper reduce non da notti da leoni, bensì dal manicomio, e una premiatissima (Oscar) Jennifer Lawrence, vista negli Hunger Games, vedova e
un po’ troppo propensa a “cene eleganti” coi colleghi di turno, a quanto pare.E tante belle, ben caratterizzate (ma tutt’altro che originali) figure di contorno, a partire da un Robert De Niro papà e scommettitore. Il primo intento, riuscito, è quello di realizzare sia una commedia con dramma sullo sfondo, sia un film d’attori. Sul primo aspetto, però, ci sono anche altri piccoli film, passati inosservati, che con meno clamore hanno svolto egregiamente questo ruolo: su tutti Adam, che armati di pazienza e motore di ricerca, potete ritrovare tra gli invisibili della rubrica. Funziona tutto bene, ci mancherebbe: la sceneggiatura è scoppiettante e le prove attoriali molto molto buone, e davvero la Lawrence si presenta come un’attrice già molto matura per la sua giovane età. Inoltre è davvero da apprezzare come la storia non scivoli mai nei binari del melodramma, ma si mantenga commedia briosa. Ma l’odore di già visto serpeggia per tutto il film e la svolta nel buonismo più sfrenato, che viene impressa alla storia, non fa che peggiorare le cose. Fosse un titolo invisibile, l’invito sarebbe di scoprirlo; ma essendo un titolo ampiamente strombazzato dai media viene da commentare come solo il buon vecchio Crozza/Ingroia saprebbe fare: “mah… boh…”.

PLEASE GIVE, di Nicole Holofcener (2010)
Commedia americana a forti tinte francesi, non per l’origine della regista, americana doc che si è messa in luce girando alcuni episodi di Sex & The City, quanto per la struttura filmica, composta di alcune storie quotidiane che si intrecciano (nello stesso appartamento), di dialoghi preferiti all’azione, di drammi e introspezioni familiari. Kate compra e rivende mobili vintage appartenenti a persone morte, e nel contempo acquisisce l’appartamento limitrofo di una vecchia signora in prospettiv post-mortem. Fa conoscenza con le due nipoti, due bellissime donne alla ricerca di loro stesse e di un compagno di vita. La figlia di Kate, in compenso, non può acquistare abiti alla moda. Il cast è felicemente anomalo, composto da Amanda Peet, Rebecca Hall (le nipoti), Catherine Keener e Oliver Platt, e il film è interamente basato su dialoghi e situazioni minimaliste all’interno dello spazio di un condominio. Al di là dei fatti della vita non succede niente di particolare, ma la bravura della regista è proprio nel descrivere, raccontare, e caratterizzare i suoi personaggi e le loro storie.
Una commedia drammatica di alto livello, che emoziona pur senza creare alcun tipo di adrenalina, come nel buon cinema d’oltralpe. La descrizione di generazioni non baciate da destino e fortuna è metaforicamente introdotta nella scena iniziale, dove si assiste a una carrellata di seni (una delle due nipoti è radiografa), come a volerci presentare queste storie di donne, non felici, che cercano di uscire dal loro quotidiano. Da vedere: uscito direttamente in dvd, buona ricerca.

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