Scialla!, il convincente ritratto di un mondo molto vicino alla realtà

Scialla!, di Francesco Bruni (2011)
Ogni generazione, ogni regione ha il suo gergo. Chi ha qualche anno si è visto passare punk, paninari, rapper e gruppi di ogni genere e provenienza che, anche a seconda della regione, parlavano un gergo tutto loro. Per farla facile, in questi anni mentre in America si dice “take it easy”, a Ravenna (e non solo) “bella” o “ci sta” (quest’ultimo un’assoluta genialata lessicale), nella capitale si dice “scialla”. E questo film offre un piccolo e convincente ritratto di quella che si può definire “generazione scialla” (visto che qua tutti coniano neologismi, non si poteva rimanere indietro). Il film parla dell’incontro e della quasi forzata convivenza tra un ex insegnante ora biografo di pornostar (Bentivoglio, l’insegnante, un po’ Bukowski e un po’ Lebowski) e un giovane molto poco scolarizzato, dotato però di particolare sensibilità e creatività, e interpretato dal bravo, esordiente e pasoliniano Filippo Scicchitano. Il film non offre nulla di nuovo, anzi crea parecchi stereotipi, ma la storia procede con ritmo e coerenza, e il mondo rappresentato è certamente molto vicino alla realtà. L’esordiente Bruni (sceneggiatore di Virzì) non va a fondo nell’analisi del contesto socio-geografico dei protagonisti, ma si ferma proprio nella caratterizzazione dei suoi personaggi, anche se su qualcuno (insegnante di lettere) calca troppo la mano. Particolarmente azzeccato il personaggio del Poeta, interpretato da Vinicio Marchioni, la cui partecipazione alla serie Romanzo Criminale porterà nel film anche uno squisito momento autoironico. Scialla è una commedia, e si ride spesso, e anche quando la storia pare prendere una piega molto drammatica, un geniale colpo di mano della sceneggiatura rimette il tutto entro i binari attesi e stabiliti. Attenzione, però: non vivranno tutti felici e contenti, perché il film vuole parlare della realtà, che dà sorrisi, ma non è certo una pista continuamente in discesa. Ci sta.

Et in terra pax, di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini (2010)
La periferia di Roma, raccontata in modo nudo e crudo, da tre storie in un primo momento parallele, che poi si intrecceranno sul filo della droga e della criminalità. Una trama come tante altre, una città che è stata ampiamente raccontata da tutti i maestri del nostro cinema, che acquista un qualcosa di nuovo grazie alla miracolosa messa in scena dei due esordienti registi. La periferia non sembra più un film, ma un luogo completamente reale abitato non da attori (tutti giovani, esordienti o quasi, davvero convincenti) ma da veri e propri ragazzi dei bassifondi di una capitale che sanguina violenza e impotenza. I modelli sono alti: impossibile non farsi venire in mente L’odio di Kassovitz o Accattone di Pasolini, fino al recentissimo Gomorra di Garrone; l’impressione è che anche se non si arriva certamente a questi livelli, il film riesca, grazie a regia, montaggio e recitazione, a inserirsi a pieno diritto nel filone neorealista di questi ultimi anni. Qualche dialogo può apparire scontato, ma funzionale al contesto nel quale i nostri protagonisti si muovono. Il film non ha ricevuto i finanziamenti del Ministero dei Beni Culturali, e questo la dice lunga sul coraggio e sulla caparbietà, nonché l’elevata statura artistica che sta alla base di questo piccolo gioiello: un film duro, che non guarda in faccia a nessuno, ma da cui è assolutamente impossibile staccarsi o rimanere insensibili. Da non perdere, tramite rassegne o dvd appena uscito, visto che in sala è passato inevitabilmente inosservato.

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