Se “The road” non si può guardare, meglio affidarsi a Michael Haneke

The Road
di John Hillcoat
In un futuro apocalittico, sconvolto da una catastrofe nucleare che ha distrutto la natura e ogni sua forma, domina la rabbiosa, violenta e disperata voglia di sopravvivere, che ha portato l’umanità a combattersi e uccidersi per prevalere e continuare a sperare.
Un padre e un figlio iniziano un cammino verso sud con la speranza di un mondo migliore. Passato in rassegna alla Mostra di Venezia del 2009, non è un caso che il film, nonostante abbia nel cast attori come Viggo Mortensen e Charlize Theron, sia distrattamente distribuito alle porte dell’estate: The Road è un film maldestro e sbagliato dall’inizio alla fine. Da un buon incipit, il regista non riesce a “governare” la fallace sceneggiatura, offrendo un riassuntino insipido di una storia probabilmente intensa e drammatica. Lo spettatore (che mi auguro non si fidi di chi scrive e vada comunque a vedere il film) faticherà a capire ed emozionarsi a ogni incontro/scena in cui padre e (insopportabile) figlio s’imbatteranno, capirà poco delle loro azioni, fino a ritrovarsi davanti a un frettoloso finale che non soddisfa né chi sta dalla parte della fantascienza, né chi da quella dei sentimenti. Peccato per la bella soundtrack di Nick Cave e per la fotografia, complessivamente azzeccata, ma regia e sceneggiatura latitano paurosamente. Per sopperire alla completa mancanza di idee, il film si condisce con qualche flashback familiare, assolutamente inutile, se non per mostrare la bella di turno (e Charlize lo è). Una nota finale: il film è tratto dal premiato libro di Cormac McCarthy, la cui opera ha dato problemi anche ai fratelli Coen (perchè, al di là dei facili entusiasmi, Non è un paese per vecchi non è un gran film): grande scrittore indigesto al cinema o “pacco” a stelle e strisce?
Voto 4

Il tempo dei lupi
di Michael Haneke
Sei anni prima di The Road, un altro autore ha affrontato lo stesso tema, il grande Michael Haneke. In un futuro prossimo, un’enorme crisi energetica (di cui non viene spiegato nulla) ha ridotto la popolazione europea a lottare con denti e armi per avere casa e cibo; la famiglia protagonista viene appunto cacciata dalla propria casa e parte alla ricerca di un mondo migliore. A differenza della minestrina riscaldata di Hillcoat, Il tempo dei lupi è un film rigoroso, potente e certamente difficile da seguire: per dare realismo a una vicenda (speriamo) paradossale, il regista non accompagna musicalmente il film, e gira soltanto con luce naturale, col risultato che di notte le scene sono quasi del tutto buie. Al regista però interessa, attraverso la metafora della catastrofe, descrivere una società egoistica e violenta, talmente arretrata e fallita da assumere carattere primitivo (da qui il titolo del film). Come simbolo di salvezza viene scelto il treno, per fuggire da un mondo che sta per morire: una metafora non nuova nel cinema, ma che qui assume contorni decisamente efficaci. La vicenda è particolarmente incentrata sui dialoghi, resi affascinati anche dalla bravura dei suoi protagonisti, tra cui Isabelle Huppert, Beatrice Dalle e Patrice Chereau. Un film tosto, difficile, duro e secco, ma la cui visione, ai più pazienti, darà molte soddisfazioni.
Voto 7,5

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