Sei film dal festival di Venezia, quest’anno meno glam del solito

Report ridotto e in puntata unica, gli altri film durante l’anno. Cambiato il direttore, col ritorno di Alberto Barbera, si è assistiti a una Mostra di profilo più basso, con poche star e poco glamour, in linea con la crisi del paese. Meglio così, poniamo l’attenzione ai film.
La città ideale, di Luigi Lo Cascio. Debutto alla regia per l’attore, con una delicata e paradossale storia sulla questione morale: un ambientalista, che viene coinvolto in un incidente che non ha provocato, ha voglia di dire la verità. Bel debutto, qualche debolezza a metà film, sopratutto nell’inutile personaggio della bella studentessa, e con un finale che è un dichiarato omaggio a Sciascia. Recita tutta la famiglia Lo Cascio: oltre allo zio (Burruano, grande), madre e fratelli. W la famiglia. 6,5.

Queen of Montreuil, di Solveig Anspach. Montreuil, alle porte di Parigi. Agathe, neo vedova, incontra una stravagante madre col giovane figlio, entrambi islandesi, che le chiedono ospitalità, in una palazzina che comprende altri personaggi stravaganti. Commedia islandese divertente, surreale, pur partendo da sfondi drammatico-sociali, con alcuni elementi esilaranti che condiscono il film: una foca perduta da uno zoo, e i dialoghi e le mimiche da operai dalle cime delle loro gru. Sgangherato e simpatico. 7.

Cherchez Hortense, di Pascal Bonitzer. Quando c’è in scena il grande Jean Pierre Bacri (Il gusto degli altri, Così fan tutti), tutti in silenzio ad applaudire. Il regista perde importanza e il film lo fa lui, e le storie sono sempre simili, con al centro un borghese con un brutto carattere che deve risolvere una difficile situazione familiare. Ovviamente bellissimo. 8.

The Master, di Paul Thomas Anderson. Chi scrive, non ama il regista di Boogie Nights, Magnolia e Ubriaco d’amore. La storia di un alcolizzato che entra a far parte della comunità di scientology dopo la seconda guerra mondiale è film ben fotografato, recitato sopra le righe dai pur bravi Phoenix e Hoffman, ma scritto malissimo e in evidente crisi di orientamento, via via che passano i minuti. 4.

Bad 25, di Spike Lee. Documentario sulla realizzazione dell’album Bad di Michael Jackson, a 25 anni dalla sua uscita. Pur non amando la sua musica, non si possono che ammirare le sue doti di ballerino. Ma sentire per due ore i suoi amichetti che te lo dicono, dopo un po’ annoia. Per fans. 6.

Fill The Void, di Rama Burshtein, Famiglie di ebrei ortodossi alle prese con la sistemazione dei propri figli, con matrimoni di convenienza. I problemi sono due: il regista non sembra avere troppo spirito critico, e il film è ambientato ai giorni nostri. In realtà questo spaccato, ben girato e ben definito nei suoi protagonisti, risulta una visione gradevole e illuminante. Per l’ateismo. 6,5.

To The Wonder, di Terrence Malick, autore negli anni settanta di due film bellissimi e poi tornato con tre film controversi negli anni duemila. Qua per due ore due tizi totalmente inespressivi (Ben Affleck e una bellissima Bond Girl russa) dicono che l’amore è bello, poi è brutto, poi è litigherello. Poi arriva anche Romina Mondello, a fare un monologo sull’amare noi stessi. Mai vista una porcheria simile in anni di cinema. 1 (per rispetto al suo passato).

Love is All You Need, di Susanne Bier. La brava e di solito seriosa Bier, realizza una commedia, omaggiando dichiaratamente l’Italia e le vecchie commedie americane, Billy Wilder in primis. Con un buon Pierce Brosnan, la storia di un matrimonio di danesi e americani celebrato a Sorrento, si rivela un leggero e divertente gioco di equivoci e amori. Personaggi godibilissimi. 7.

PS È stato il figlio, di Daniele Ciprì sarà recensito la prossima settimana, insieme al commento ai premi.

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