Shame, l’ottima conferma di una regia che fa respirare aria di modernità

Shame, di Steve McQueen (2011)
La coppia suona molto cinefila: il regista Steve McQueen (che si chiama come il mitico attore) e l’attore Michael Fassbender (che si chiama, quasi, come il mitico regista) finalmente vengono scoperti dal pubblico italiano, grazie all’ultimo Festival di Venezia, dove Shame ha raccolto grandi consensi e ha “consegnato” al suo protagonista la Coppa Volpi come miglior attore maschile. Per completare il parco tecnico, non dimentichiamo neanche una straordinaria Carey Mulligan, co-protagonista e grande promessa dopo l’ottima prova in Non lasciarmi, film da recuperare. Cresciuto e maturato come video artista, McQueen dopo aver stupito tutti per la sua opera prima (vedi sotto), ha consolidato la sua ottima fama con questo Shame, storia di Brandon, un trentenne di successo, sia nel lavoro che con le donne, apprezzato dai colleghi e assoluto oggetto di desiderio del gentil sesso. Ma il protagonista ha non pochi lati oscuri, dalla dipendenza del sesso, fino al rapporto mai troppo chiaro con la sorella, cantante emotivamente instabile e caratterialmente fragile, che un giorno viene a stabilirsi da lui. Guardando questo film si respira, come con Drive (ma questo è scritto notevolmente meglio), aria di modernità, non tanto nella storia, ma nel modo di raccontarla, nella regia, nella visione pure. E McQueen gira in maniera devastante, inserendo il corpo del suo attore protagonista (anche senza veli, per la gioia delle fans), in un gioco di inquadrature originali e visioni innovative, al limite dell’onirico, dando un totale senso del trasporto. Un piacere per gli occhi, ma anche un film difficile, poco dialogato, retto dalla straordinaria recitazione dei due attori, che riempiono la bellezza naturale delle immagini con emozioni di grande impatto. Da non perdere.

Hunger, di Steve McQueen (2008)
Opera prima di McQueen, è un film ben più duro, rigoroso e disturbante del successivo Shame, che già una passeggiata non è. Intendiamoci, sono due film appassionanti e che si seguono senza problemi, grazie anche alla loro durata perfetta (un’ora e mezza), però Hunger è una storia vera, parla di carcere, parla di IRA, parla di Irlanda del Nord, parla di 1981, e parla di lotta. Parte con tre protagonisti, un poliziotto e due detenuti, fino a dimenticarli (in un modo o nell’altro) per concentrarsi sull’attivista Bobby Sands, che diventerà leader del drammatico sciopero della fame che gli attivisti per l’indipendenza dell’Irlanda del Nord hanno messo in atto per vedersi riconosciuto lo status di prigioniero politico. Hunger è un film potente e spiazzante, e sorprendente contando che si tratta di un’opera prima. Un film duro che mette le immagini del bravo video artista McQueen in faccia allo spettatore senza preoccuparsi della sua reazione: dall’iniziale sciopero dell’igiene alle mani insanguinate dei picchiatori, dalle violenze dei poliziotti al corpo sofferente e martoriato di Sands/Fassbender (sì, ancora lui). In mezzo al film, quindici minuti di camera fissa per il dialogo tra il protagonista e il prete del carcere, che mostra l’incontro tra due mondi e contemporaneamente un deciso intervallo tra le visioni del talentuoso regista. Una scelta netta e spiazzante, per un film molto bello che in Irlanda è già oggetto di culto, mentre da noi è oggetto di disperata ricerca da parte di quei pochi appassionati e fortunati a cui è giunta voce dell’esistenza, visto che non è mai uscito. Chissà che il successo di Shame, non porti Hunger nelle sale, visto che per ora di italiano ci sono solo i sottotitoli in rete.
PS: nelle sale c’è un altro bel film, La talpa. Andatelo a vedere prima che vada via, poi la prossima settimana ne parliamo.

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