Sinister: inquieta e incassa, ma uno può bastare

SINISTER, di Scott Derrickson  (2012 )
Sinister si presenta come un thriller: uno scrittore in declino va ad abitare con la famiglia in una casa che è stata teatro di un macrabo e misterioso delitto, per poter ricavarne una crime story. Le difficoltà iniziali pare riguardino moglie, figli e parte della polizia, ma la vicenda assumerà toni ben lontani dall’indagine, virando decisamente verso l’horror. Perplessità. Il regista non è mai parso una cima, visti i precedenti film, soprattutto The Exorcism Of Emily Rose, uno sgradevole film di possessione in salsa ciellina (nulla contro, ma sarebbe come vedere un vegano che gira un documentario sugli hamburger). La trama, piuttosto convenzionale, anche se ordinata. Il film si affida a un altro collaudato stereotipo dello spavento, che è il filmino girato in Super8, formato affascinante, vintage, involontariamente hipster e universalmente inquietante. In poche (e meno pompose) parole, una moda. Inoltre, il film abusa dell’ormai nota ai nostri lettori “Estetica del Bù!”, e cioè sparare in mezzo a un inquietante silenzio un effetto sonoro a tutto volume, unito a una scena un po’ improvvisa, che farebbe saltare anche un dolmen. Eppure, nonostante questi sotterfugi di seconda/terza categoria il film smentisce le perplessità perchè inquieta, spaventa (con molti “bu” però) e anche la chiusura finale sul momento manifesta un suo grande fascino. Insomma, funziona. Sinister è stato un grande successo, dovuto anche alla presenza di una star quale Ethan Hawke, anche lui come il suo personaggio un po’ lontano dai fasti della sua bellissima carriera, ma che sa reggere sulle proprie spalle l’intero film. Il successo del film ha generato, però, l’inevitabile e grave conseguenza: di Sinister ce ne ritroveremo almeno un altro paio nei prossimi anni, che rovinerebbero un horror non memorabile ma che riesce negli intenti prefissati: inquietare, spaventare, incassare.

Magnifiche presenze e Inevitabili follie
Ma quale sono le origini e i precursori di Sinister? Intanto la figura del racconto nel racconto, dello scrittore in cerca di ispirazione: in principio era Stephen King, seguito dai suoi fin troppo numerosi tentativi di imitazione, a volte riusciti, altre volte decisamente meno. La corrente delle imitazioni ben fatta è capeggiata dal sempre mitico John Carpenter, con Il seme della follia, omaggio dichiarato alla politica kinghiana, con un Sam Neill decisamente stralunato. Capostipite delle occasioni mancate, quel Secret Window con Johhny Depp che avrebbe portato l’attore verso l’inevitabile declino artistico se non ci fossero stati i pirati a salvarlo. Ethan Hawke non raggiunge il livello recitativo di Neill, ma neanche Derrickson è Carpenter. Altro tema dominante del film, la “presenza”. Tolti i giapponesi, tutti efficacemente spaventosi, tolto il capolavoro The Others, tolto il capolavorissimo The Shining, tolti gli italiani che si sono presi gioco del tema in modo più che dignitoso, dai Fantasmi a Roma alla Magnifica presenza, si deve a malincuore citare quel Paranormal Activity che ha dato il via a una produzione smisurata in tutti questi anni di film tutt’altro che irresistibili. Almeno sappiamo con chi prendercela, a meno che non vogliamo risalire all’alba del millennio e scovare quel piccolo gioiello che sta rischiando di diventare invisibile quando invece era un tormentone. Armiamoci e partiamo, alla riscoperta di The Blair Witch Project!

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