“Skins”: inglesi giovani, carini e… politically incorrect

Con l’arrivo dell’estate e la scarsità in circolazione di nuove pellicole, il nostro recensore cambia target e la rubrica diventa temporaneamente “Serial&Dintorni”. Nonostante sia giunto alla sua quarta stagione di programmazione, Skins è un telefilm non molto noto in Italia, in quanto l’emittente che la trasmette non fa parte delle sei sorelle dell’etere (digitale?) terrestre nazionale: Mtv Italia non trasmette solo video musicali ma anche serie eccezionali (Scrubs, ma non solo), cartoni d’autore (Inuyasha, ma non solo) e programmi di notevole interesse (Il testimone, ma non solo). Per capire di cosa parla Skins, basti prendere qualche serie anni ’90 come Beverly Hills o Dawson Creek, spogliarle di ogni traccia di buonismo, e aggiungere tutti i temi più gravi, ricorrenti e purtroppo reali della vita quotidiana dei ragazzi alle soglie della maggiore età: famiglie con problemi, disturbi di personalità, anoressia, depressione, malattie mentali, abuso di alcol, di sesso e di droghe, nonché di morte. Ambientato in un college di Bristol (la serie è inglese), il telefilm racconta le storie di un gruppo di adolescenti negli ultimi due anni di scuole superiori. Ogni puntata si concentra su un personaggio, analizzandolo a fondo senza però dimenticare il filo narrativo e le trame che legano tutti i protagonisti. Il cast viene azzerato ogni due anni, in quanto la serie segue uno specifico periodo della vita e quando i protagonisti crescono, escono anche di scena. Solo alcuni personaggi di contorno (sorelle minori, genitori) restano in sella per tutte le quattro stagioni fin qui trasmesse: al momento sono già in cantiere la quinta e sesta stagione, con un altro rinnovo totale di cast, tanto che gli autori hanno ribattezzato le coppie di serie come prima, seconda e terza generazione. Attori e sceneggiatori sono molto giovani, quasi tutti esordienti, scelta compiuta proprio per accentuare il forte senso di realismo che la serie vuole trasmettere. Poco amato dalla critica perbenista, che non sopporta l’idea di dare un cattivo esempio ai ragazzi che guardano la tv, Skins è certamente un telefilm eccessivo ma anche estremamente realista, che sa raccontare un susseguirsi di generazioni alle prese con una società che non riesce a dar loro le speranze e i sogni che fino a qualche anno prima ognuno di loro ha coltivato. Da questo punto di vista l’ambientazione e la realizzazione europea giocano un ruolo determinante per accentuarne l’atmosfera cupa. Eccellente la messa in scena e la regia, in perfetta linea con il senso della serie. Come spesso capita, anche Skins ha portato fortuna ad alcuni suoi attori, in particolare a Nicholas Hoult, già noto come bambino di About a Boy, che ha trovato la consacrazione nel ruolo (non troppo diverso da qui) del giovane gigolò nello splendido A Single Man, di Tom Ford. Il titolo è un’espressione gergale inglese, e si riferisce alle cartine per fare gli spinelli. A proposito, gli americani non stanno a guardare: è già in cantiere la versione americana del telefilm ambientata a Baltimora, e probabilmente con qualche dose di zucchero in più. Remake inutile, perchè Skins è perfetto così. Da non perdere sia per chi vive quell’età, sia per chi non conosce le nuove generazioni: dopo lo spavento iniziale, lo spettatore adulto avrà sicuramente tanto materiale per riflettere.

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