Talullah un film da vedere, Patata bollente da riscoprire

Talullah (di Sian Heder, 2016)
Talullah è una nomade moderna, vive in un furgoncino, campa con piccoli furti e sogna di andare in India, come meta ideale e idealizzata di evasione definitiva; viene presto abbandonata dal fidanzato e non trova inizialmente successo il chiedere ospitalità dalla madre di lui, che a sua volta vive una complessa situazione familiare. Un giorno mentre cerca di mangiare i resti dei pasti davanti alle camere di albergo si imbatte in una donna benestante e viziosa, in cerca di sballo e uomini, che la scambia per la cameriera e le affida la figlia da badare. Una bimba di un anno troppo tenera e dolce per essere lasciata nelle mani di una donna irresponsabile e incapace di educare. Da qui nasce una vicenda ai limiti del surreale, che vede la vita dei Tallulah incrociarsi con quella delle altre due protagoniste, donne in evidente crisi, in un racconto inevitabilmente drammatico ma pieno di voglia di vivere, di emergere e di vincere le difficoltà, in un narrare ad andamento lento, ma originale in ogni sua pagina. Dopo due cortometraggi molto apprezzati e la partecipazione come autrice alla prima serie di Orange Is The New Black, Talullah è il lungometraggio d’esordio di Sian Heder che ha sia scritto che diretto. Presentato al Sundance Festival nel 2016, il film ha raccolto numerosi consensi di pubblico e di critica ed è uscito in Italia direttamente in streaming per  Netflix. Un’altra occasione persa per la distratta distribuzione cinematografica italiana, che si è lasciata sfuggire un film di grande spessore, che se da un lato a livello tecnico ricorda un po’ troppo il cinema indipendente americano (e non è un difetto), dall’altro mette in campo tre interpretazioni femminili  straordinarie. Talullah è Ellen Paige, che riprende idealmente la sua Juno (quasi un capostipite del cinema “indie” del nuovo secolo) e ce la mostra cresciuta, disillusa… e molto trasandata. E come in Juno accanto a lei troviamo Allison Janney a formare di nuovo una coppia ideale. Non da meno Tammy Blanchard, in un ruolo difficile e che assume sempre più importanza con lo scorrere dei minuti (che sono 113, tantini). Da buon indipendente, non può inoltre mancare una colonna sonora di grande effetto, che ci accompagna fino ai titoli di coda di un film che, senza troppi giri di parole, è semplicemente da vedere.
La patata bollente (di Steno, 1979)
Il film inaugura una nuova sotto-rubrica, di cadenza casuale e variabile, di film il cui titolo viene sbattuto a casaccio in prima pagina dai media. Il film in questione è stato “mirabilmente” citato da un “importante” quotidiano nazionale in una prima pagina che credo abbiate visto tutti. Il problema, però, è che il film del grande Steno è ambientato a Milano e non a Roma, e ha per protagonista un comunista (Renato Pozzetto), che finisce per perdere l’amore per Edwige Fenech, e invaghirsi di un Massimo Ranieri in versione gay. Le uniche stelle del film, e non sono cinque, sono quelle rosse dell’Unione Sovietica, meta scelta dal partito per premiare (e “redimere”) il suo iscritto. Un film su tema omosessuale, intelligente e divertente, sia al passo coi tempi (il rifiuto del comunista di sentirsi gay), sia precursore di temi qui trattati con forte ironia ma sempre con garbo. Con la speranza finale che questa “patata bollente” sia un’occasione per riscoprire una godibilissima commedia all’Italiana. In Dvd.

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